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Correvano. Correvano a perdifiato, pestando enormi pozzanghere d'acqua, a volte profonde fin quasi al ginocchio, a volte fino alle caviglie; mai meno.

"...cun una côrda..."

I rami graffiavano le loro facce sudate e stanche. Piccoli tagli, poco profondi, ma di un rosso acceso, risplendevano brillanti, risaltando maggiormente sul bianco dei loro visi. Solo poche gocce di sangue scendevano dai tagli a solcare i loro volti, ma quanto, quanto sangue in più sarebbe scorso prima che tutto finisse?

"...e cun una ligazza..."

Le spalle, nella frenesia convulsa della fuga, cozzavano contro i tronchi degli alberi. La corteccia, al contatto con i loro corpi, spandeva nell'aria una fresca fragranza di pino, che andava a mescolarsi all'odore del bosco bagnato. Il suono dei passi dietro di loro parve farsi improvvisamente più vicino. 

"...la liga i bei babèn..."

Tutto si fermò, come se il tempo del mondo avesse di colpo cessato di girare. 

Anche loro si arrestarono, ma non altrettanto fece il terrore che aveva mosso i loro passi fino a quel momento. 

Si volsero di scatto, scrutando freneticamente il bosco. Non videro nulla, niente a parte la pineta vuota. Fu questo a spaventarli più di qualunque altra cosa. 

Adriana sentiva il cuore galopparle in petto, batteva così forte che sembrava volesse sfondarlo. Si voltò verso il suo ragazzo in cerca di...di cosa? Un conforto? Una rassicurazione? Sarebbe andata bene qualsiasi cosa, una parola, il suono della sua voce. La conferma di non essere impazzita.

 "Amore, Carlo, ma dov'è finit..."

Le parole le morirono sulla lingua, conficcandosi in gola come spine acuminate, soffocate dall'urlo che voleva salire disperato a lacerare la notte. 

Carlo era ancora lì, a pochi passi da lei, ma il suo viso...oh, buon Dio, il suo viso...

Il suo viso non c'era più, al suo posto un ammasso informe grondante di rosso, mentre quella che era stata la sua faccia pendeva come una grottesca maschera di pelle tra le dita di una mano mostruosa. L'altra mano artigliava il corpo del giovane, penetrandogli la carne con le unghie ripugnanti, attirandolo vicino, nell'orrida parodia di un abbraccio.

Il grido esplose, un urlo straziante e muto, il suono soffocato da un terrore che le impediva di fare qualsiasi cosa, persino di respirare. 

Dalle vestigia orrendamente sfigurate di quello che era stato il volto di Carlo sfuggì un gemito rantolante.

<<Oh Dio, è vivo, è ancora vivo!>> pensò con indicibile orrore.

Dietro all'ormai irriconoscibile viso che tanto aveva amato ne apparve un altro. Buchi neri al posto degli occhi e una bocca scarna, grinzosa. 

"...pu la i amazza!"

Adriana ritornò bruscamente alla realtà. Sentì le gocce scorrerle copiose lungo le guance. Istintivamente portò una mano a detergere quello che credeva essere sudore e solo allora si rese conto che quelle gocce non provenivano dalla sua fronte, ma dai suoi occhi. Grosse lacrime le rigavano il volto, scendendo a inzuppare gli abiti e il sacco a pelo. Tremava.

Si costrinse a rilassarsi, a ricacciare via il panico, aspettando l'inevitabile sollievo che di sicuro sarebbe arrivato. 

<<Dormivo, non era reale. Dormivo, non era reale. Dormivo, non era...>>

Andò avanti qualche secondo, poi provò a concentrarsi su quello che aveva intorno e parve funzionare. In qualche modo fu in grado di acquietarsi. 

L'ora era tarda, avevano già dormito parecchio e fuori sembrava avesse smesso di piovere. Rimase immobile in silenzio per accertarsene. I soli suoni che le giunsero alle orecchie furono il respiro pesante di Carlo e lo sporadico ticchettio delle gocce residue, che dalle foglie degli alberi cadevano sulla tenda e per terra. Il martellare incessante della pioggia pareva essersi esaurito. Un rumore però sovrastava ogni altro: quello ansimante e spezzato del suo respiro.

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