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Carlo impiegò poco meno di cinque minuti a metterla al corrente dei fatti. Cinque minuti durante i quali la sua voce riecheggiò solitaria nel silenzio della stanza, inframmezzata giusto dal ticchettio delle lancette dell'orologio appeso alla libreria.

Lei non fiatò, rimase ad ascoltarlo rapita, quasi mesmerizzata, senza interromperlo nemmeno una volta per sollecitare ulteriori chiarimenti.

Le parole di Carlo faticavano ad aprirsi un varco nella sua mente, dove turbinavano prive di significato, come se, rimanendo disconnesse le une dalle altre, non riuscissero a ricomporsi in frasi di senso compiuto. Era come se, pur ascoltandone il suono, fosse divenuta all'improvviso incapace di assimilare il concetto. Perché quello che il suo ragazzo le stava raccontando era troppo assurdo e terribile per poter essere vero e perché, per un attimo, ascoltando il suo racconto, si era ritrovata catapultata ancora una volta nella terribile oscurità lattiginosa del bosco, con gli alberi che la circondavano da ogni lato dandole un improvviso senso di claustrofobia e con una orribile creatura strisciata fuori dagli incubi per aggredirla.

Pensava, colma di orrore, a quei ragazzi, quei tre poveri ragazzi sull'Alpe. Ma erano i suoi capelli ad essere di nuovo serrati in una morsa che le impediva la fuga, il suo collo quello che finiva stretto nella morsa impietosa del nodo scorsoio. Deglutì a vuoto, mentre i brividi le scivolavano lungo la schiena e, senza quasi rendersi conto di quello che stava facendo, portò istintivamente una mano alla gola. Le sue dita non incontrarono nessun ostacolo nel loro percorso, nessuna ruvida corda, fradicia dell'umidità della pioggia, solo la pelle liscia e intatta. Razionalmente sapeva che sarebbe stato così, ovviamente, ma il sollievo che provò fu comunque troppo grande per poter essere descritto a parole. 

Subito dopo alla gelida morsa del terrore e al benedetto sollievo provato non appena si era resa conto di non avere nulla da temere, ecco che si risvegliò in lei un altro sentimento, più forte e violento dei precedenti, più profondo di qualsiasi cosa le fosse mai capitato di provare. Credeva di aver ormai imparato a conoscere la rabbia. Era stata aggredita e la responsabile l'aveva privata della propria sicurezza, le aveva portato via il piacere che derivava dalle sue avventure in notturna nei boschi con Carlo. Eppure la rabbia che provava in quel momento superava di gran lunga qualsiasi cosa avesse mai provato in precedenza. 

Era furibonda perché ricordava fin troppo bene il terrore, il senso di ineluttabile disperazione provati quella notte nel bosco, e poteva capire fin troppo bene quanto terribili dovevano essere stati gli ultimi istanti vissuti da quei ragazzi. Lei e Carlo si erano salvati, ma le cose avrebbero potuto andare diversamente. Fortuna, alla fine tutto si riduceva a quello. I tre ragazzi sull'Alpe erano stati sfortunati, e due di loro non ce l'avevano fatta. Avrebbero potuto benissimo esserci lei e Carlo al loro posto. 

Ma loro erano sopravvissuti, e avevano un dovere verso chi non aveva avuto la stessa fortuna. 

Non c'era nessuna strega uscita dalle leggende pronta a strisciare fuori dalle tenebre degli incubi, materializzandosi nella bruma. Nessun fantasma immateriale impossibile da sconfiggere. No. Solo una pazza, una normale, banalissima pazza assassina. Terrificante, ma umana. Poteva essere fermata. Doveva essere fermata, e spettava a loro il dovere di farlo. Se fossero rimasti fermi con le mani in mano e lei avesse continuato a uccidere allora anche le loro mani sarebbero state sporche del sangue delle sue vittime. 

<<Forse dovremmo dirlo a Cristiano. In fondo è il suo lavoro...>>

Certo, già, dirlo a Cristiano... e dirgli cosa, esattamente? Che prove avevano per additare quella ragazza, Gaia, come la responsabile degli omicidi e della loro aggressione?

<<Potremmo mentire, dire che l'abbiamo riconosciuta quando l'abbiamo incontrata nella casa di riposo. Siamo testimoni oculari in fondo.>> Era quell'ultimo frammento di razionalità rimasto in lei a parlare, a obiettare, a cercare di farla ragionare, ma l'esile voce stentorea del buonsenso non poteva che rimanere affogata dalla rossa nebbia di collera che le ottenebrava il cervello. 

Non potevano andare da Cristiano e lanciare un'accusa del genere, non senza prove inconfutabili ad avvalorare le loro accuse. Perché in un caso del genere non si poteva assolutamente, per nulla al mondo, rischiare che quella pazza psicopatica la facesse franca. Dovevano essere sicuri, assolutamente sicuri prima di comunicare le loro conclusioni alle autorità. Lei doveva essere sicura. Sentiva dentro di sé di avere ragione, che la colpevole doveva per forza essere lei, quella ragazza insicura e instabile cresciuta ascoltando i racconti della nonna sulla Borda, la strega che usciva dalla nebbia e dai pantani per andare a punire i bambini cattivi e che possedeva le competenze professionali necessarie per realizzare un travestimento assolutamente convincente; ma aveva bisogno di una conferma. Aveva bisogno che fosse la stessa Gaia ad ammetterlo, e aveva bisogno di sentire la sua confessione con le proprie orecchie. 

A Carlo non piacque per niente il luccichio che vide balenare negli occhi di Adriana. Conosceva fin troppo bene quello sguardo, e sapeva che di solito era presagio di guai o brutte idee. In quel caso lo fu di entrambe le cose.

"Non possiamo denunciarla, non senza prove concrete, ma..."

Lui la interruppe immediatamente. "Non c'è nessun "ma" amore, certo che possiamo denunciarla, trovare prove spetterà a chi di dovere, noi più di così non possiamo fare" dichiarò con quello che si augurava risultasse un tono sicuro e perentorio. Sperava che la sua frase risultasse come un'asserzione chiara e incontrovertibile, ma Adriana, ovviamente, contraddisse all'istante la sua affermazione. 

"Sì invece" replicò lei caparbiamente. 

Temeva quella risposta più di qualunque altra, sospettava dove volesse andare a parare. "Non andremo su a cercare di farla confessare, non è così che funziona, poi sarebbe pur sempre la nostra parola contro la sua. Hai per caso l'idea brillante di registrarla? Potrebbe sempre dire che non è la sua voce, che l'abbiamo contraffatta e..."

Lei tese la mano, ancora sporca di colore, davanti alla sua faccia, per zittirlo con quell'unico gesto. "Primo, anche solo una registrazione potrebbe smuovere le acque e da lì un'indagine chissà cosa potrebbe portare a galla; se non è estremamente furba qualche indizio che l'incrimini DEVE averlo lasciato. Secondo, messa alle strette potrebbe commettere qualche errore e condannarsi con le sue stesse mani. E terzo sì, stai pure tranquillo, non andremo INSIEME a trovarla per farla confessare. Se non vuoi accompagnarmi nessun problema, ma io andrò ugualmente, che ti piaccia o meno. Poi se vuoi lasciare che la tua ragazza affronti da sola una potenziale assassina accomodati pure."

Del tutto inaspettatamente Carlo si alzò di colpo, sbattendo i pugni sul tavolo. Non era mai stato in bolla, perché aveva un piede leggermente più corto degli altri tre, e sotto l'impeto del suo colpo prese a traballare vistosamente. 

Perfino lei fu presa alla sprovvista da quello scatto d'ira. Era probabilmente intenzionata ad aggiungere qualcos'altro, ma il suo gesto bastò ad ammutolirla di colpo. 

"Ma non capisci proprio allora? E se ti sbagliassi? Se stessimo prendendo una cantonata e questa ragazza non c'entrasse niente con questa storia? Come giustificheremmo l'irruzione in casa sua? E, peggio ancora, se avessimo pienamente ragione? Se quella che ci troveremo davanti fosse una psicopatica serial killer ossessionata da vecchie leggende?"

Adriana abbassò appena lo sguardo, raccogliendo le proprie idee. Il gesto di Carlo l'aveva colpa alla sprovvista, scatti d'ira come quello non gli erano certo abituali. Era sorpresa, sì, ma non spaventata. Era lui quello che aveva paura, glielo leggeva negli occhi. E lo capiva, questo sì, ma era comunque determinata a far valere le proprie ragioni. Aveva bisogno di arrivare in fondo a quella storia assurda, e aveva bisogno di farlo con lui al suo fianco. Per questo avrebbe fatto tutto, assolutamente tutto ciò che era in suo potere per convincerlo. 

Lo raggiunse e gli diede un bacio leggero e rapido sulle labbra, secche ormai a causa del tanto sbraitare.

"Se mi sbaglio chiuderemo qui la faccenda, lo giuro. E comunque nessuno farà irruzione da nessuna parte, suoneremo e ci faremo aprire, poi le faremo qualche semplice domanda. In ultimo..." stavolta il bacio fu più appassionato e duraturo "...ho te, per cui non temo nulla e nessuno, so che mi proteggeresti da tutto e da tutti, perché ti amo e mi fido di te."

Come era prevedibile, abboccò peggio della sua cattura nel laghetto. Prima gli si imporporarono le gote, poi distolse lo sguardo. Sperava di essere stata abbastanza convincente, in caso contrario si sarebbe giocata l'ultima carta in sua mano, anche se al momento non aveva minimamente voglia di fare sesso. Non fu necessario.

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