18.

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Dopo che gli OSS ebbero allontanato dalla sala comune la signora Jolanda, la stanza piombò in un silenzio irreale. Poteva sembrare che la quiete fosse finalmente tornata, dopo quella tempesta improvvisa e imprevista, ma il gelo che pareva pervadere l'ambiente, quel gelo che nemmeno il calore del sole che filtrava dalle ampie vetrate sembrava essere in grado di scacciare, raccontava una storia ben diversa. 

Carlo e Adriana percepirono con immenso disagio che l'attenzione di tutti era concentrata su di loro. Probabilmente lo era fin da quando avevano varcato la soglia, ma mai come in quel momento ne erano stati tanto, dolorosamente coscienti. 

Perfino i tre nonnetti che giocavano a carte si era fermati e li stavano osservando intenti.

L'anziano che poco prima stava supervisionando i lavori era entrato nella stanza, sempre a mani conserte dietro la schiena. 

L'uomo con la rivista l'aveva abbassata e li scrutava, tetro in volto.

Tutti quegli sconosciuti dai volti segnati dallo scorrere del tempo li guardavano, e sembravano giudicarli. Non c'era modo di fraintendere la disapprovazione che traspariva da quegli sguardi, da quelle espressioni. Carlo, che già per conto proprio si sentiva un verme, avrebbe voluto sprofondare. Persino Adriana vacillò sotto il peso del giudizio inclemente espresso dagli occhi di quegli estranei.

Solo la signora in sedia a rotelle continuava a godersi il panorama, indifferente a tutto il trambusto provocato. 

Giuseppe si avvicinò di nuovo a loro. Nemmeno si erano accorti che fosse ancora lì, pensavano avesse seguito la moglie quando era stata allontanata. Pareva essersi fatto di colpo ancora più vecchio e smunto, le spalle ingobbite come se si trovassero a dover sostenere il peso di un macigno. E probabilmente era proprio così. Solo perché il fardello che portava non era visibile, non voleva dire che fosse meno gravoso. 

Parlò in tono sommesso, un tono nel quale si fondevano vergogna e dispiacere. "Vi chiedo scusa da parte di mia moglie, non fatevi un'idea sbagliata, vi prego; c'è ancora con le testa, ma rivangare certi discorsi non le fa bene per niente. Negli anni abbiamo provato a parlarne, ma finiva spesso così; speravo che con due sconosciuti sarebbe stato diverso, per questo anche quando ho capito di cosa volevate parlare vi ho lasciati continuare, invece mi sbagliavo. Scusate per la scenata a cui avete appena assistito."

L'uomo sospirò profondamente e scosse la testa. Raddrizzando improvvisamente la schiena, forte della propria ritrovata dignità, si avvicinò loro e tese la mano, per congedarsi con una stretta cordiale. Sorpresi dal gesto, sia Carlo che Adriana porsero a turno le proprie. 

Del tutto inaspettatamente aggiunse: "Scusateci ancora, e grazie di essere venuti fin qui. Mi dispiace per quello che è successo ma nonostante tutto... è in qualche modo confortante sapere che non siamo i soli a ricordarci di Matteo. Ricordare è importante. In fondo è un modo per mantenere in vita coloro che non ci sono più, no? Sì, è così, è il solo modo che abbiamo per farlo."

Fece per allontanarsi, sulle tracce della moglie, ma Adriana, pur se colta in contropiede da quell'improvviso empito di gentilezza, che sentiva immeritato, si riprese in tempo per cogliere quella che poteva essere la loro ultima occasione di vederci chiaro. Forse rischiava di risultare ancora più inopportuna di quanto già non fosse stata, ma non era che la cosa a quel punto avesse poi molta importanza. 

"Ma di cosa ci stava accusando sua moglie? Noi non abbiamo detto nulla."

Fermo sulla soglia Giuseppe voltò la testa verso di loro e fece per muovere le labbra. Per un attimo entrambi i giovani ebbero la certezze che stesse per rivelare loro qualcosa di fondamentale, ma poi lo videro stringere le labbra e scuotere la testa. Bisbigliò qualcosa, in un sussurro talmente sottile che fecero perfino fatica a distinguere le parole. 

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