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"Gli anni novanta volgevano al termine, voi probabilmente eravate nati da poco o al massimo stavate frequentando le scuole elementari. All'epoca ero molto diverso da come sono adesso. Ero stato espulso già due volte da scuola, ero il bullo dell'istituto, i compagni più piccoli mi guardavano con paura, quelli grandi cercavano di ignorarmi, e alla terza espulsione i miei mi diedero una scelta: o andavo a lavorare o andavo fuori di casa. Litigammo pesantemente, ma alla fine non cedettero di un passo, per cui fui io a dovermi per una volta arrendere.

Data la mia scarsa propensione allo studio, cominciai a lavorare nell'officina di Ernesto, padre di Carlo, un mio caro amico. Anche lui dava una mano in officina. Abbiamo perso i contatti ormai da tempo, ma era forse l'unico vero amico che avessi all'epoca."

L'uomo si interruppe, osservando il giovane che sedeva davanti a lui. Le labbra gli si piegarono in un sorriso appena accennato.

"Sai, non è solo il nome, ma tu me lo rammenti un po'. Faccia sbarazzina, barba ispida sul viso, quella luce negli occhi di chi, per quanto non la racconti giusta, sembra saper distinguere il confine tra giusto e sbagliato.

Ricordo quelli come gli anni più belli: l'odore dell'olio che ti entrava nelle narici la mattina presto quando andavi al lavoro, quei momenti rubati in cui sgattaiolavamo nel retro a fumarci qualche spinello, le pause pranzo a parlare con gli altri dipendenti di donne.

Quante risate quando parlavamo delle ragazze. "Sposatele e vedrete come chiuderanno la gambe e apriranno la bocca; fidatevi di noi, divertitevi  finché potete, non mangiate già ora la solita minestra."

Che nostalgia al solo pensarci! Certo, non ci divertivamo solamente, il lavoro non mancava e ci facevamo un bel culo, non c'erano tutte le attrezzature che ci sono oggi e la fatica era molto maggiore. Ciononostante quei due anni in cui lavorai come meccanico furono davvero magici per me. Sentivo addirittura che stavo cambiando. A pensarci adesso potrei dire che forse stavo maturando; avevo messo su una ragazza stabile, bevevo meno e avevo relegato le canne alle pause lavorative.

Tutto filava per il verso giusto, ma si sa, quando le cose sembrano andare troppo bene il destino è sempre pronto a riequilibrare la situazione."

Un nuovo sorriso sbocciò sul viso del vicebrigadiere, ma era un sorriso, questa volta, decisamente amaro.

"La quiete venutasi a creare si ruppe improvvisamente quando decisero di assumere un nuovo operaio. Gli affari andavano bene, la ditta si stava espandendo e un paio di mani in più facevano comodo.

È proprio qui che entra in scena Tullio Viscardi. Era un ragazzo di qualche anno più grande di me, e fu subito chiaro che non era un tipo a posto.

Probabilmente, se non mi fossi dato una regolata sarei finito forse come lui: drogato e misogino. Un tipo non certo facile, come avrete capito, ma che faceva poche domande e lavorava come un mulo, accettando il minimo come paga. Andava tutto bene finché non gli si domandava del suo passato, allora c'era il rischio di venire alle mani. E qualche volta successe. Con me, con Carlo, perfino con colleghi più grandi. Calci, spintoni, persino qualche schiaffo... sembrava che nulla lo impensierisse. Lui non minacciava mai, lui agiva. Molti di noi pensavano che fosse il classico avanzo di galera."

Cristiano si fermò un istante e spense la sigaretta contro il muro esterno, poi la gettò sotto la scrivania dentro un piccolo bidone del rusco, che dalla loro prospettiva non si vedeva. Ne tirò fuori un'altra, accendendola in un gesto quasi meccanico e continuando poi a raccontare.

"Non so come né perché, ma Tullio mi spaventava a morte, e non ero il solo al quale provocava quel senso di paura. Anche gli altri operai ne erano intimiditi e mantenevano, per quanto possibile, le distanze. Troppi le avevano prese da lui almeno una volta.

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