1.

42 5 0
                                    

Il cielo, che era stato completamento oscurato da densi, torreggianti ammassi di cupe nubi sin dalle prime ore del mattino, si era fatto ancora più tetro con l'incedere della sera. Oscurità incombente nel cielo, appena intuibile attraverso la plumbea cortina che oscurava il paesaggio. La nebbia, sempre in agguato, persistente e insinuante, già da qualche giorno sembrava trascinarsi su tutto il comprensorio, immutabile compagna a ogni risveglio.

Calava sui boschi lenta e discreta. Talvolta, come quel giorno, al mattino non era null'altro che una sfocatura nel panorama ma poi, infida e traditrice, ti avviluppava nel suo abbraccio fino a nascondere la luce del giorno.  Solo con l'ausilio dei telefoni si poteva avere una vaga idea circa l'ora, perché i raggi solari non riuscivano a penetrare quella fitta coltre grigio topo.

Anche quei pochi, intrepidi sprazzi di luminosità che riuscivano a penetrare la foschia andavano comunque scemando; segno che era ormai ora di fermarsi e preparare il campo per la notte prima che diventasse del tutto impossibile orientarsi. 

In lontananza si udì inconfondibile il suono di una moltitudine di passi rapidissimi, come una piccolissima frana sassosa sul terreno fradicio.  

Animali, senza dubbio. Anni di escursioni, anche in notturna, avevano permesso loro di affinare notevolmente l'udito e ora riuscivano a riconoscere la maggior parte degli animali perfino nel momento della loro fuga. Forse un piccolo branco di caprioli che se la svignava in fretta e furia al suono delle imprecazioni che provenivano dai ragazzi appena giunti, in quel cupo termine di giornata, in una piccola piana poco sopra la sorgente dell'Oltralpe.

Il terreno, scelto più che altro sulla base della necessità del momento, era sorprendentemente morbido: uno spesso tappeto di aghi di pino ricopriva gran parte di quel tratto di bosco, compreso lo spiazzo che l'incalzante esigenza di trovare un posto in cui trascorrere la notte li aveva spinti a eleggere come punto di sosta. L'Alpe di Monghidoro era la loro montagna; una montagna ricoperta completamente o quasi di faggi, ma in alcuni punti quegli alberi cedevano il passo alla pineta, in altre occasioni odiata, ma che ora faceva proprio al caso loro. 

"Ci mancava solo questa maledetta acqua!" imprecò Carlo, scagliando le sue bacchette da trekking contro il terreno ai suoi piedi.

Un suono saturo d'acqua accompagnò l'impatto dei bastoncini con il suolo soffice. 

<<Terreno morbido, sì, ma parecchio impregnato>> pensò sgomento.

Dal cielo plumbeo, aveva iniziato a scendere fitta una leggera pioggerella, pronta ad aggiungere il proprio contributo a quel mondo già saturo dell'umidità causata dalla nebbia. Era una pioggia sottile, ma affilata come migliaia di punture di spillo, una pioggia ostinata che portava con sé una promessa di temporale. Una promessa prontamente mantenuta. Un tuono squarciò il cielo in lontananza, disegnando per un momento attraverso la coltre di nebbia la propria sagoma elettrica. Sì, il temporale si avvicinava, non c'erano dubbi. 

"Agitarsi non serve, lo sai" intervenne placidamente Adriana. 

Carlo si girò di scatto verso di lei, pronto ad aggredirla a parole, ma riuscì a dominarsi prima che quelle frasi troppo brusche e  cattive gli scivolassero dalla lingua. Trasse un profondo respiro. La situazione in cui si erano venuti a trovare lo rendeva nervoso, questo non poteva evitarlo, ma poteva almeno replicare senza cedere all'ira.  "Non ti ci mettere anche tu adesso, per favore" e poi, incapace di trattenersi, aggiunse "lo sai che se siamo in questa situazione è solo per colpa tu..."

Adriana inarcò un sopracciglio con fare scettico. Aveva visto l'agitazione del suo ragazzo crescere nel corso della giornata, farsi sempre più marcata mentre si aprivano la strada tra quell'umidità lattiginosa che li circondava. Lo conosceva troppo bene perché potesse nascondergliela. Normalmente era lei la metà irrequieta della coppia, ma vedere chi aveva accanto agitarsi aveva su di lei uno strano effetto calmante. Era sempre stato così, fin da quando era bambina. Per questo, quando lo interruppe la sua voce era pacata, quasi imperturbabile. "Adesso dai la colpa a me per quello che è successo? Ti ricordo che sei stato tu a volerti alzare tardi questa mattina. E vogliamo parlare delle infinite soste a fotografare quei fiori che avrai già visto mille volte? O anche dell'interminabile pausa pranzo che mi hai fatto fare? Non prendertela con me se abbiamo perso l'ultima corriera della giornata."

La BordaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora