9.

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Adriana si rigirò nel letto in preda all'angoscia, attorcigliandosi addosso le coperte come un bozzolo.

Il compagno al suo fianco sbuffò qualcosa di incomprensibile e si girò su un fianco dandole le spalle; nel pieno della fase REM non si accorse nemmeno di essere stato completamente scoperto. Per lui il sonno stava continuando senza altri problemi, se non quelli che la sua ragazza gli stava involontariamente causando.

Biascicò altre parole prive di senso e, senza accorgersi dell'irrequietezza di Adriana, continuò a lasciarsi cullare dal tepore del mondo onirico.

Per lei invece non era così semplice.

Una sequela di immagini l'avvinghiò accelerando tutt'attorno, risucchiandola in un vortice infinito, sempre più veloce e sempre più in profondità.

Stralci di visi, luoghi e oggetti le turbinarono addosso, mescolandosi in un confusionario arcobaleno di colori, via via sempre più cupo e spento, fino a che tutto non si fuse in un'unica coltre grigia che la avvolse, lasciandola sola e smarrita tra i più reconditi misteri che essa celava.

La sensazione di galleggiare in quel fumo era sgradevole, ma di certo non peggio della caduta che l'aveva condotta fino a lì. Il suo corpo fisico, al sicuro nel grande lettone matrimoniale, aveva smesso di agitarsi. Si guardò intorno per cercare qualche punto di riferimento. Nulla. Nebbia fitta ovunque volgesse lo sguardo. Cosa si celava al di là di quel muro impenetrabile alla vista? Cosa...

Un'ombra scura scattò rapida in quell'ammasso, salvo poi scomparire così com'era apparsa.

"Fa nanì ch'e' ven la Borda..."

Adriana si pietrificò.

Aveva davvero visto quel movimento fulmineo oppure...

"... che l'è dri' da l'óss che la ti 'scolta..."

Di nuovo quello scatto, stavolta dietro di lei, più vicino, visto e percepito al tempo stesso, come spesso accade nei sogni.

Era sia protagonista che osservatrice, si scrutava sgomenta, persa e inconsapevole di cosa le sarebbe capitato.

Era come vivere, ma attraverso gli occhi di un estraneo, sotto il suo stesso sguardo attonito.

In più di nuovo quella terribile nenia, come la notte dell'agguato!

Brividi freddi le scossero la spina dorsale.

Fushhh... ancora quella sagoma indefinibile che le sfrecciò vicinissimo.

"... la ti ascolta e la ti vo' ascultê..."

Lei era il perno di una giostra immaginaria e quell'ombra così malevola tutti gli inquietanti animali in legno dalle espressioni fisse e glaciali.

Ora sempre più fulminea le scorreva intorno, svelta, sempre più incalzante, fino a fondersi in un unico folle lampo orizzontale, nero come il buio più assoluto.

"... se la ti arriva la ti vo' magnê!"

Si portò le mani sugli occhi per non dover assistere, di scappare nemmeno a pensarci, la paura l'aveva paralizzata ancora una volta.

Purtroppo, in quel luogo, le regole non erano le stesse che per il mondo della veglia. Pur accecandosi con i palmi, continuava a vedersi e a vedere quella striscia fosca cingerla sempre di più, fino ad avvolgerla di nuovo come un tornado, come un putrido vento di morte, come l'occhio di un ciclone che sovrastò l'urlo assordante che cacciò ormai in preda alle lacrime.

Sgranò gli occhi e si accorse subito che qualcosa non quadrava. La sua camera l'avrebbe riconosciuta anche al buio, ma lì qualcosa era diverso. Ma che cosa? E perché si sentiva tanto incriccata?

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