2.

9 4 0
                                    

Carlo era uscito presto quella mattina, scivolando fuori dal letto piano e in silenzio per non svegliarla. Non sapeva che lei era già desta da ore, aveva fatto in modo che non se ne accorgesse. 

Il sonno, la sera prima, era arrivato quasi subito per lui. Si era sdraiato nel letto al suo fianco ed era stato rapito da Morfeo in un batter d'occhio. Lei invece aveva seguito il lento, interminabile susseguirsi delle ore senza riuscire a lasciarsi andare al conforto del sonno. Aveva trascorso la notte con le palpebre serrate, terrorizzata all'idea di aprirle tanto quanto lo era all'idea di scivolare nel mondo dei sogni dove, ne era certa, ad attenderla ci sarebbero stati incubi fin troppo vividi. 

Quando Carlo si era alzato, lei aveva continuato a far finta di dormire. Solo quando lui si era richiuso la porta alle spalle si era finalmente concessa di aprire gli occhi e allora, solo allora, dopo aver sentito il rumore dell'auto che si allontanava lungo la strada, aveva pianto. Nemmeno lei avrebbe saputo dire se si trattava di lacrime di stanchezza o di lacrime di rabbia. 

Non riusciva a farne a meno. Per quanto si sforzasse, la sua mente tornava continuamente a quei momenti...


La notte dell'aggressione, dopo aver visto la tenda allagata, avevano raccattato tutti i loro averi alla bell'e meglio quanto più in fretta possibile e si erano precipitati verso la civiltà. Avevano corso a rotta di collo, con tutta la velocità consentita dai loro corpi, spossati dagli avvenimenti, ansiosi di lasciarsi alle spalle le ombre infide del bosco, che d'un tratto parevano essersi popolate di fantasmi letali.

Tramite un sentiero che ormai conoscevano a menadito erano giunti, dopo pochi minuti, sulla stradina sterrata che collegava la Nazionale con la croce dell'Alpe, all'altezza del Triton's Park. Ogni passo sollevava schizzi dalle pozzanghere fangose, a volte basse, altre volte profonde fin quasi alle caviglie, che erano disseminate lungo la strada. Non se ne curarono, ormai erano talmente fradici che un po' d'acqua in più o in meno non avrebbe fatto differenza.

Avevano continuato a correre fino a quando non avevano sentito i polmoni bruciare dallo sforzo e, anche allora, avevano rallentato appena l'andatura, senza mai fermarsi o camminare piano. Erano scesi dalla strada, che era già diventata asfaltata da qualche chilometro, sbucando sulla Nazionale, proprio sulla piccola rotonda rischiarata dai lampioni. Quella luce, data da sempre per scontata, e il profilo confortante e familiare delle abitazioni del paese colmarono i loro cuori, stanchi e spossati, di un indicibile sollievo.

L'ora era tarda, dovevano essere all'incirca le tre quando erano arrivati finalmente in vista del Futa Point, un bar posto lungo un rettilineo sulla strada principale, rifugio di biker ed escursionisti durante il giorno, ma a quell'ora vuoto e silente. Lì, confortati appena un po' dalle luci soffuse emanate dai lampioni che svettavano in mezzo alla nebbia e da quella dei fanali delle sporadiche macchine di passaggio, si erano sistemati sotto il portico del bar, riparati dalla pioggia, sedendosi sui freddi scalini di pietra. Erano bagnati e infreddoliti, ma era l'ultimo dei loro problemi; a imporre pesantemente il proprio tributo era la stanchezza, una spossatezza come mai ne avevano provate. Non era solo per via della fatica che la fuga precipitosa aveva comportato, no. Era l'improvvisa sensazione di sollievo che li aveva inondati alla vista del paese, scacciando via la tensione, che in fondo altro non è se non quell'istinto cieco che acutizza i sensi e continua a mantenere in movimento le membra anche quando il corpo, esausto, non ce la fa più. Il sollievo, spesso, prosciuga, e così era accaduto a loro. 

A Carlo, sempre più propenso di lei ad arrendersi al richiamo del sonno, era bastato appoggiare la testa contro il muro del locale per assopirsi. Adriana invece si era rifiutata con caparbia ostinazione di cedere alla stanchezza. Probabilmente avrebbe potuto dormire a sua volta, se lo avesse voluto. Sarebbe bastato sedersi accanto al proprio ragazzo, magari reclinando il capo contro la spalla di lui, chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Ma lei non lo voleva. Era certa che, non appena avesse abbassato le palpebre, avrebbe rivissuto l'aggressione ancora e ancora. 

La BordaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora