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Le risate risuonarono fragorose nel piccolo ufficio. Era un ambiente sobrio, arredato con il minimo indispensabile per dargli una parvenza di spartana efficienza. Sul lato destro della stanza c'era un armadietto grigio e asettico, probabilmente uno schedario o un archivio. Era situato a fianco della finestra, davanti alla quale era posizionata la sedia ergonomica sui cui sedeva il carabiniere che si stava occupando di trascrivere la relazione su un computer dall'aria a dir poco vetusta.

Quattro targhette commemorative su dei supporti in legno, adornavano l'intera parete sulla destra, mentre sulla sinistra erano appesi fogli incorniciati in grezze cornici di plastica. Sotto di essi, giacevano un ventilatore ricoperto di polvere e un distributore d'acqua. 

L'agente in preda all'ilarità, un giovane uomo in leggero sovrappeso dai capelli castani rasati corti, sbatté violentemente una mano sulla scrivania datata e sbeccata su quasi tutti gli angoli. La tazza di tè fumante posata sulla superficie oscillò pericolosamente. Un paio di gocce caddero sulla camicia azzurra, tipica dell'Arma, ma lui non ci fece caso. Portò l'altra mano alla bocca, cercando di darsi un contegno. 

Gli occhi di Carlo bruciavano come carboni ardenti e i pugni, serrati sulle ginocchia, fremevano dalla voglia di infrangersi su quel viso da ebete. Come osava quello sbarbatello brufoloso prendersi gioco di lui a quel modo? 

Afferrò i supporti in metallo della sedia su cui l'agente lo aveva fatto accomodare al suo arrivo, affondando ancora di più nel morbido cuscino verde che ammorbidiva la seduta. 

Adriana, il viso color porpora per la rabbia e l'umiliazione, si sporse verso di lui. "Dovevi proprio usare la parola "strega"? Mi pareva avessimo concordato che quella, e altre cosette del tipo "mostro" o "fantasma" sarebbe stato meglio evitarle!"

Le parole sussurrate al suo orecchio dalla ragazza non lo aiutarono certo a sbollire la rabbia.

"Signori" il carabiniere seduto al di là della scrivania era tornato serio "Signori, chiedo scusa per la mia mancanza di rispetto, ma voi capirete che non deridevo la vostra denuncia di aggressione, quella l'abbiamo presa molto seriamente. È solo che quando mi avete tirato in ballo le streghe mi sono..."

"Strega, solo una" lo corresse d'istinto Carlo. 

"Sì, ecco, quando avete tirato in ballo la strega mi sono lasciato andare. Non intendevo offendervi, so bene che le vittime di violenza possono soffrire di stress post traumatico, e a volte sono soggette a crolli emotivi. Se volete..." Aprì un cassetto della scrivania ed estrasse un piccolo biglietto da visita arancione che porse ai ragazzi seduti di fronte a lui "Qui c'è il numero di un ufficio che collabora con noi. Sono molti bravi in quello che fanno e garantiscono la totale riservatezza, il che non è..."

Fu Adriana a prendere la parola, alterata dalla direzione che stava prendendo la conversazione "Ci mandate da uno psichiatra? Che cosa pensate? Che abbiamo avuto le allucinazioni?"

Carlo si morse l'interno della guancia, per trattenere un sorriso. Lei, che prima di entrare in caserma gli aveva fatto un predicozzo su come fosse necessario che mantenessero la calma, era la prima a non riuscire a tenere a bada il proprio temperamento. Oh, la capiva. A lui continuavano a prudere le mani, le avrebbe volentieri depositate con una certa violenza su quella faccia da schiaffi. 

Il carabiniere, che si era presentato a loro come Bruno Servilli, non si scompose minimamente "Sono convinto che voi crediate fermamente a tutto quello che mi avete appena esposto. Questo è il problema maggiore. Rifugiarvi in certe fantasie non vi sarà d'alcun aiuto per superare l'accaduto."

Occorse qualche istante perché le parole dell'agente facessero effettivamente breccia in entrambi. Appena ne afferrarono il senso, Adriana si lasciò sfuggire un verso indignato, oltraggiata dalle implicazioni dell'affermazione e Carlo balzò in piedi, pienamente certo che non sarebbe riuscito a trattenersi oltre dal mettere le mani addosso al carabiniere. 

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