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Il sole di quel sabato pomeriggio di circa metà aprile stava riscaldando, attraverso le finestre, il divano sui cui erano seduti i due giovani ragazzi. Faceva parecchio caldo, nonostante la primavera fosse appena agli inizi. 

Cercavano di godersi quel momento di quiete apparente, ma la mente di entrambi volava lontano, sulle ali di pensieri che li riconducevano sempre agli avvenimenti di cui erano stati vittime e alle notizie che avevano scovato online e in biblioteca. Era normale: si apprestavano a fare una cosa sulla quale avevano a lungo dibattuto e che generava una certa ansia in entrambi. 

Chi per un motivo, chi per un altro, si erano entrambi convinti che chiunque li avesse aggrediti nel bosco, fosse responsabile anche dell'uccisione di Tullio Viscardi e di Matteo Cevolini, come pure di quella di Ernesto Santovito. Anche se sicuramente erano gli unici al mondo a pensarla a quel modo, erano certi che dietro vi fosse la stessa mano, umana o... non. 

Se su Tullio avevano avuto una testimonianza diretta data dal suo ex amico di allora, il vicebrigadiere Cristiano, su Matteo brancolavano nel buio, come anche su Ernesto. 

Erano trascorse ormai due settimane dall'aggressione, due settimane che erano passate lente e lunghissime allo stesso tempo. 

Dopo la deludente visita alla biblioteca di Pianoro Adriana non si era arresa. Con una costanza al limite del maniacale aveva fatto visita, nei giorni precedenti, alle principali biblioteche di Bologna, dall'Archiginnasio alla Sala Borsa. I bibliotecari l'avevano indirizzata verso la consultazione degli archivi digitali dei diversi quotidiani, locali e nazionali. 

Sulla vicenda di Ernesto Santovito non aveva scoperto nulla che già non sapessero ma, realisticamente parlando, non si era aspettata nulla di diverso. Come le aveva giustamente fatto notare Carlo si trattava di una storia come se ne sentivano tante, troppe a dire il vero, perché potesse suscitare particolare curiosità o interesse. 

Non che per quanto riguardasse la scomparsa di Matteo Cevolini fosse andata tanto meglio, ma una piccolissima traccia forse l'aveva scovata, risalendo, tramite un trafiletto scritto su "Il Resto del Carlino", trovato sempre in biblioteca, ai nomi dei genitori del ragazzo. Giuseppe Cevolini e Jolanda Nannini.

Sulle prime avevano pensato a un modo di contattarli per chiedere loro ulteriori informazioni, ma, tralasciando il fatto che non sapevano né come rintracciarli né se fossero ancora vivi, non erano neanche del tutto sicuri di volerli sul serio incontrare. Il pensiero di andare a riaprire vecchie ferite, probabilmente non ancora rimarginate, a una coppia anziana li poneva davanti a un enorme dilemma morale. Avrebbero dovuto andare da loro, costringerli a rivivere quello che era forse l'evento più traumatico della loro vita, e con cosa in mano poi? Una vaga sensazione? Troppo poco.

Nei film e nelle serie TV la facevano facile, lasciavano credere che, tramite internet, fosse possibile risalire a chiunque, trovare la risposta a qualsiasi domanda, ma nella vita vera non era affatto così facile. Per non parlare di quando ci si improvvisava giornalisti, irrompendo in casa delle persone coinvolte, in qualche modo, in fatti di cronaca. 

Carlo era il più perplesso all'idea di mettersi in cerca dei genitori dello scomparso Matteo, ma anche Adriana aveva i propri scrupoli di coscienza. Aveva il disperato bisogno di scoprire qualcosa di più, ma non era un'insensibile, e non prendeva la cosa a cuor leggero. 

Ci avevano pensato a lungo e alla fine avevano optato per seguire la strada che più di tutte avrebbe tolto loro un peso dallo stomaco; e se nel farlo fossero risultate come pessime persone, impiccione e insensibili, beh, non ci potevano fare nulla. La vicenda li stava logorando nel profondo e avrebbero fatto di tutto per vederci chiaro, ne andava della loro sanità mentale.

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