Eros 1 (parte 2)

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Dopo il matrimonio, mia madre riprese il suo ruolo di casalinga, mentre io diventai economicamente dipendente da quell'essere. Quel bambino, di tre anni più grande di me, si trasferì nella più prestigiosa scuola privata di Nottingham, lamentandosi ogni santo giorno delle maestre poco "consone al suo apprendimento".

Chiedo venia, vi ho introdotto questi due soggetti senza assegnare loro nessun nome o cognome, nessun luogo o famiglia. È corretto che voi sappiate tutto, ma, non credete che abbia sbagliato. Io non commetto mai errori. Per cui siate riconoscenti ed esprimete gratitudine.

A quell'essere apparteneva il nome di Black Knight, godeva dei vantaggi di una delle famiglie più influenti al mondo: la famiglia Knight. Non indugerò ulteriormente su un simile "personaggio", vi offrirò una breve descrizione ed essa dovrà appagarvi. Presentava capelli neri come la sua anima, occhi castani come le feci, un naso aquilino e guance rosse. Il lusso che lo circondava rispecchiava il suo abbigliamento giornaliero, mentre i Rolex al polso l'enorme umiltà del suo animo.

Quel bambino era suo figlio: Xavier Knight. L'unico figlio di Black Knight e l'unico erede della famiglia Knight, fino al mio arrivo. Il mio tempo è prezioso e i miei ricordi inestimabili, per cui proseguiamo senza indugiare su inutili avanzi di galera.

Sono cosciente dell'enorme desiderio che profila nei vostri cuori: voler voltare le pagine sino a giungere al capitolo in cui il nome da innocente cominciò a incutere timore in chiunque lo udisse. Ma siate pazienti, non arriverà quel momento fino a quando non vi avrò fornito tutte le informazioni necessarie per giudicarmi accuratamente.

La famiglia Knight è la più nota e celebre famiglia inglese, a capo di molte aziende automobilistiche. Il loro patrimonio è stimato attorno ai 189 miliardi di dollari, mentre le loro aziende sono valutate a 800 miliardi di dollari. Black Knight è l'unico figlio di Ryan Knight e Xavier Knight l'unico nipote, l'unico fino al mio incontro.

5 febbraio 2002

La data qui riportata segnò l'avanzata del diavolo nella mia vita, la conclusione della mia infanzia e l'inaugurazione del nuovo Eros: un bambino costretto a trafiggere il proprio petto, stringere il cuore tra le mani e gettarlo senza alcun indugio, instaurando una freddezza e una tolleranza inesistente verso chiunque, pretendendo di essere qualcun altro.

Mancava meno di un'ora al compimento dei miei sette anni. Attorno a me c'era quell'essere, quel bambino e mia madre che preferì festeggiare in "famiglia", evitando di invitare chiunque altro. Ricordo ancora nitidamente il mio disappunto, la mia espressione di felicità paragonabile a quella di Mercoledì Adams. Era trascorso circa un anno dal loro matrimonio, quasi dodici lunghi mesi in cui dovetti sopportare quei due costantemente, cercando di apparire sempre perfetto per non deludere la mia dea e reprimendo ogni impulso che potesse sfociare in una rissa o in qualche azione illegale, come troppo spesso accadeva.

Dea Denise si avvicinò a me e, dopo un lungo abbraccio, accese le candele e iniziò a cantare "Tanti auguri a te". Il suo volto era raggiante, pieno di gioia, un contrasto netto rispetto a quello di quegli esseri: impassibili, intrappolati in un desiderio evidente di essere altrove.

Strinsi la mano di mia madre, chiusi gli occhi e spensi le candele, formulando un desiderio: liberarmi di quegli esseri il prima possibile. Lei tolse le candele e mi aiutò a tagliare la prima fetta di torta. Ne presi un piccolo pezzetto con la forchetta e glielo offrii. Il suo sorriso, in quel momento, sembrava incarnare la dannazione eterna, e i suoi occhi la mia perdizione. Ricambiò il gesto, prendendo un altro pezzetto e avvicinandolo alle mie labbra. Lo assaporai lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.

Poco dopo si allontanò e tornò con una scatola blu, che porse davanti a me. Sorpreso e felice, pensai che fosse il mio regalo. Lei annuì con un sorriso e mi invitò ad aprirla. Con entusiasmo obbedii, ma appena vidi il contenuto rimasi paralizzato: erano documenti. Li fissai per interminabili secondi, incapace di comprenderne subito il significato. Intorno a me, iniziarono tutti ad applaudire all'unisono, e io, confuso, presi quei fogli sperando di aver sbagliato a leggere - il che era molto probabile presentando ancora difficoltà nella distinzione di alcune lettere, al tempo "bastarde", come P e B oppure E e I - mia madre ruppe ogni mia speranza nel momento in cui esordì allegramente con il termine: "adozione".

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