Diamond 55

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Lasciai il quadro alle mie spalle, raccogliendo tutta la forza ancora presente dentro di me, e mi avvicinai lentamente, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante, con il corpo dolorante che urlava pietà.

<Leta?> risi a quell'affermazione, stringendo l'addome tra le dita ancora impregnate del rosso del quadro. Le gambe tremavano, e la mia testa sembrava voler esplodere, desiderando eliminare ogni ricordo, svanire e rinnegare il corpo di cui era prigioniera.

<Qui non si parla d'altro: "la Leta che ha osato varcare i confini.". Mi sorprende che tu sia ancora viva.> i suoi lunghi capelli neri scivolavano oltre la schiena, i suoi occhi erano grigi, accentuati da un ombretto scuro, accompagnato da un rossetto rosso. Indossava un vestito attillato e corto dello stesso colore, con una scollatura profonda che esaltava la sua femminilità. La sua figura era paragonabile a quella di una modella, con due gambe snelle e lucide, rese ancora più eleganti dai tacchi rossi.

<Viva?> ripetei a bassa voce, avvicinandomi ulteriormente. <Ti sbagli.> le accarezzai i capelli, seguendo il movimento fino a sfiorarle delicatamente la guancia. <Hanno lavorato bene i vostri seguaci.> inclinai leggermente la testa a sinistra, fissando le mie dita che delineavano lentamente la sua mascella.

<Ti hanno dato il benvenuto?> affermò con un sorriso, allontanando la mia mano. <No, io lo sto per dare a voi.> in un attimo, la mano che prima la accarezzava si trasformò in una stretta decisa, afferrando i suoi lunghi capelli dalla nuca. La trascinai con me verso la sala centrale, il luogo in cui quel mostro mi aveva bloccata per la prima volta. Era il covo dei dannati, gli inferi che mi privarono della speranza, che mi spogliarono della dignità e mi gettarono nuovamente in braccio al tormento, senza alcuna pietà.

La spinsi verso la donna legata al centro della sala, osservandola mentre cadeva ai suoi piedi.

Un crampo mi colpì il ventre, costringendomi a piegarmi su me stessa. Ma non mi arresi; ripresi forza e mi rialzai con la testa alta, incontrando lo sguardo della donna che, con odio, tentava di avvicinarsi a me.

Presi la frusta che giaceva ai piedi della donna legata e, sotto gli occhi di tutti, la usai contro di lei. Le stesse persone che in precedenza avevano assistito al mio tormento, ora si alzarono per difendere la loro compagna.

<Io sono una Beta.> disse la donna, stringendo con forza il braccio colpito dalla mia frusta. <Non puoi farlo.> si resse in piedi, guardandomi da sotto le ciglia con un'espressione carica di odio.

<E io sono umana.> risposi, afferrando saldamente la frusta e colpendo chiunque si avvicinasse troppo. <Ma a nessuno è mai importato.> dichiarai a denti stretti. In quel momento, uno sparo risuonò proveniente dal corridoio dove ero stata poco prima, dove avevo trovato il quadro di Satana. Guardai la mano, ancora impregnata di rosso, prima di alzare lo sguardo e vedere diversi uomini correre verso di noi.

Le urla riempirono l'aria mentre altri spari si susseguivano, provenienti sia da dietro che dalla porta principale del locale. Alcuni uomini chiusero la porta da cui ero entrata, bloccando ogni via di fuga, mentre una decina di loro si presentò nella sala, puntando le pistole contro di noi.

Abbandonai la frusta nel momento in cui sentii un uomo correre verso di noi, urlando con il terrore che divampava dai suoi occhi. <È QUI! LUI È QUI!> inciampò diverse volte prima di raggiungere il centro della sala. <E-EROS È QU-> non riuscì a terminare la frase; morì sotto il colpo di un uomo con i capelli rasati e una folta barba, completamente tatuato: Rafael.

A lui seguirono altri uomini, e in un istante mi ritrovai circondata da decine di seguaci di Peter, ammassati e spinti dai fucili di quelli che dedussi fossero i seguaci del König, come se fossero delle bestie da domare. Alcuni, visibilmente ubriachi e drogati, e altri nudi, si posizionarono al centro, terrorizzati da quello che stava accadendo.

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