Capitolo trenta

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Scuoto i dadi tra le mani e poi li getto sul tabellone

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Scuoto i dadi tra le mani e poi li getto sul tabellone.

«Cavolo, Avery, di questo passo non vincerai mai!», esclama Mike.

Sto per spostare la pedina, ma ci blocchiamo tutti e quattro non appena sentiamo lo scatto della porta che si chiude e dei passi lenti e pesanti attraversare l’atrio. Le note di Pumped up kicks si propagano nell’aria frizzante intorno a noi insieme al suono del vetro che va in frantumi.

«A che cazzo serve tenere un vaso di vetro all’entrata, porca puttana», la sua voce piena di sdegno si diffonde nell’aria come un profumo pungente e fastidioso.

Liam ci lancia un’occhiata preoccupata, poi si alza lentamente in piedi. Charlie mi colpisce il piede con il suo e indica con un cenno del capo il corridoio.

La figura imponente di Xavier si trascina con passi incerti e pigri verso la rampa di scale, ma non riesce ad arrivare in fondo; inciampa e si aggrappa al tavolino, facendo cadere anche questo insieme al vaso di fiori.

«Hai imparato a camminare circa vent’anni fa! Cerca di stare in piedi, coglione, altrimenti finirai per distruggere la casa!», lo rimbrotta Liam con una vena di fastidio nella voce.

Con un po’ di difficoltà riesce finalmente a rimettersi in piedi; dal modo in cui si strofina la faccia e ciondola sui talloni, deduco abbia alzato il gomito un po’ più del solito.

«Xavier?», Liam lo chiama con urgenza e serra le dita intorno allo schienale della sedia.

Xavier si rimette in piedi e cambia direzione, venendo verso di noi. Scivola come un fantasma sotto l’arcata del soggiorno e dice: «Sono le gambe del tavolino ad essere instabili mica le mie!».

Mike scuote la testa e ridacchia a bassa voce.

Xavier, con la sua aura misteriosa, si staglia tra di noi come se avesse addosso l’odore della morte. Si appoggia con la spalla al muro e solleva due dita per salutarci. «Come butta, famiglia?», un sorriso stentato affiora sulle sue labbra. «Tu che ci fai qui?», indica Charlie e un solco gli increspa la fronte.

«L’ho chiamato io», dice Liam. Non è vero. Sono stata io a chiamarlo, dato che da quando ho smesso di lavorare per Gonzales non l’ho più incontrato.

«Me ne sto per andare, tranquillo!», Charlie solleva le mani davanti al petto, come se volesse tirarsi fuori da questa situazione.

«Vai a riposare. Hai un aspetto di merda», mormora Liam abbassando lo sguardo. Si rimette seduto, lo sguardo avvolto da un’aria delusa, e riprende i dadi tra le mani. Li lancia sul tabellone e poi sposta la sua pedina.

«State giocando?», domanda e di colpo sembra seriamente sconvolto. «Non avete mai giocato a Monopoly. Perché nessuno mi ha invitato?».

«L’ha proposto Avery. Inoltre, ti abbiamo chiamato un sacco di volte, ma avevi il cellulare spento», spiega con calma Liam.

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora