Capitolo trentanove

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«Stai fumando come una ciminiera, hai rotto il cazzo!», il tono ammonitore di  Liam mi riporta all’improvviso con i piedi per terra

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«Stai fumando come una ciminiera, hai rotto il cazzo!», il tono ammonitore di  Liam mi riporta all’improvviso con i piedi per terra. Mi confisca il pacco di sigarette e mi lancia un’occhiata torva.

«Mi rilassa», rispondo e me lo riprendo. Ne afferro una e me la infilo tra le labbra, senza accenderla.

«Quando c’era Avery neanche le toccavi, le sigarette», va a prendere uno yogurt greco e la confezione di cornflakes. «O almeno, stavi provando a non fumare più. Adesso lo fai più di prima», il suo tono accusatorio inizia a darmi sui nervi. Si è forse dimenticato che anche lui l’ha trattata di merda? Se non avessi assecondato la sua richiesta e avessi gettato a terra quel dannato telescopio, le cose non sarebbero degenerate in quel modo.

Versa lo yogurt in una tazza insieme ai cornflakes e prova a fare colazione. Un velo di silenzio sinistro avvolge la casa e ammetto che non vederla più girovagare per la cucina con la sua solita aria assonnata, è strano.

Liam prova a riempirsi lo stomaco, ma non riesce nemmeno a deglutire. So che non ha chiuso occhio tutta la notte. Lui è fatto così: solleva un muro quando è ferito e poi si sente una persona di merda e si lascia schiacciare dalle preoccupazioni e dai sensi di colpa.

«Non abbiamo notizie di lei da due giorni», esclama fissando la tazza. «Forse siamo stati troppo duri con lei, non pensi?», domanda con un filo di voce.

«No», rispondo secco e finalmente mi accendo la sigaretta.

«Ti ho detto di piantarla», mi rimprovera di nuovo e me la sfila dalle labbra, spegnendola. «Ma che ti prende ultimamente? Anche io ci sono rimasto male, ma mica faccio come te», sbuffa e si ficca in bocca una cucchiaiata di yogurt in modo da non aggiungere altro.

«Non sentirti in colpa», gli dico e appoggia i gomiti sulla penisola della cucina, io mi giro di spalle e incrocio le braccia.

«Mia madre è a pezzi», bisbiglia. «E anche Chris sembra disperato. È stato l’unico a non averle urlato contro, eppure Avery lo ha sempre detestato, ricordi?»

«Dovrebbe avvisare la polizia, allora», suggerisco con tono distaccato.

«Tu non sei andato là fuori a cercarla…», si schiarisce la gola e lo guardo di sguincio. «So che ha ferito entrambi, ma se le fosse successo qualcosa di brutto? Se si fosse suicidata da qualche parte? Non ti importa?»

Chiaramente le scarse ore di sonno iniziano a farsi sentire, perché sta dicendo un mucchio di stronzate.

«Non lo farebbe», asserisco.

«Come fai ad esserne così sicuro?», chiede spingendo la tazza di lato, optando questa volta per un bicchiere di spremuta.

«Perché tu non hai visto quello che ho visto io nei suoi occhi», serro le palpebre per un secondo e cerco di figurarmela davanti a me.

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora