Dopo la morte della madre, Avery è costretta a seguire il padre a San Diego per conoscere la sua nuova compagna e il suo futuro fratellastro.
Però tra le mura della villa dei Dillard vive un'altra anima tormentata, scontrosa e poco incline ad avere...
Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
«A volte non importa ciò che esce dalla tua bocca, ma importa il modo in cui lo dici».
Per una volta mi trovo d’accordo con mio padre.
Non avrei dovuto risponderle in quel modo, ma non so neanche come scusarmi.
Dovrò ringraziare mio padre anche per questo. Perché per lui, chiedere scusa, è da deboli. E io, quando ero debole, non mi scusavo mai, perché in questo modo potevo sentirmi un po’ più forte. Non con il mondo, ma con lui.
Non mi scusavo mai con mio padre; lui non l’ha mai fatto e io non gli ho mai concesso l’onore di prendersi anche questo potere.
Ma adesso sono talmente messo male, che chiedere scusa mi fa sentire come se l’altra perdona volesse prendermi a pugni in faccia e a calci nelle palle e io glielo lasciassi fare. Quella parola, quando detta sinceramente, racchiude così tanto potere al suo interno, che non credo di essere pronto a fidarmi così tanto da pronunciarla senza provare rimorso subito dopo.
Quando torno a casa, trovo Liam appoggiato alla colonna di marmo con il cellulare tra le mani. Indossa una camicia di lino color crema, un paio di pantaloni bianchi e le sneakers. Sembra la copia sputata di sua madre. Entrambi baciati dal sole e sempre con il sorriso in tasca. Tuttavia, quando posa i suoi occhi su di me, il sorriso svanisce.
«Sei in ritardo, pezzo di merda! Vedi di darti una ripulita», indica la porta con un cenno del capo e lo mando a fanculo mentalmente.
Corro su per le scale e vado nella mia stanza. Mi spoglio, lancio i vestiti sul letto e poi vado dritto sotto la doccia.
Quando finisco inizio a rovistare tra le diverse camicie che mi ha comprato Brooke per i vari eventi ai quali ha dovuto trascinarmi, e ne scelgo una bianca di Brioni e dei pantaloni larghi neri. Indosso gli anfibi, mi asciugo leggermente i capelli e metto intorno al collo la collana cubana che mi ha regalato Liam l’anno scorso per il mio ventiduesimo compleanno.
Lascio la camicia sbottonata e arrotolo leggermente le maniche. Scendo rapidamente le scale scontrandomi con la bellezza di Brooke. Maledizione, non riesco a guardarla senza pensare automaticamente a mia madre.
Indossa una tuta elegante nera e sotto il braccio regge una borsetta del medesimo colore con dei dettagli in oro.
«Pensavo che non saresti più venuto», dice non appena mi vede; i suoi occhi sono nuovamente colmi d’emozione e io mi sento immediatamente più sollevato.
«Non ti ho mai detto di no», rispondo con una smorfia. Brooke ha sempre pensato che trascinarmi in giro con lei, da qualche anno ormai, fosse importante per la mia vita sociale. Più persone conosco, più la rete di relazioni si allarga e posso aggrapparmi a qualcuno nei momenti di bisogno senza rischiare di rimanere col culo a terra. Non ha ancora capito che io non mi aggrappo a nessuno, perché sono quello che li trascina giù con me.