Capitolo trentuno

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«Mi hai portata nella tua stanza!», mi divincolo ancora sulla sua spalla

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«Mi hai portata nella tua stanza!», mi divincolo ancora sulla sua spalla.

«Davvero?», commenta con tono ironico. «Hai intenzione di zittirti o devo trovare un modo per tapparti la bocca?»

Continuo a protestare. «Non voglio usare il tuo bagno, Xavier. Ora mollami!», gli colpisco la spalla.

Chiude la porta a chiave e poi mi rimette giù.

«Ma sei tutta sporca, Blanchard», risponde con un sorrisetto malizioso e mi spinge delicatamente verso il suo bagno. Si è per caso bevuto il cervello?

Rimango immobile a fissarlo come se avessi appena visto uno spettro. Si toglie la maglietta e la getta nel lavandino, poi armeggia con la cintura per un paio di secondi, ma non riesce a slacciarla. Istintivamente allungo le mani verso di lui, ma ci blocchiamo entrambi.

Con le spalle addossate al muro inarca leggermente la schiena e solleva il bacino, invitandomi ad aiutarlo.

«Mi fulminerai con lo sguardo fino a domani o intendi darmi una mano?», abbozza un sorrisetto e solleva le sopracciglia.

«Fottiti», borbotto e afferro le estremità della cintura e con un forte strattone cerco di farlo avvicinare a me, ma lo faccio ridacchiare e basta. Lo aiuto a slacciarsela e inizio a sbottonargli i pantaloni. Mi fermo di nuovo. Sono così imbarazzata che non riesco neanche a guardarlo in faccia. Non mi ha chiesto di spogliarlo io, quindi perché diavolo lo sto facendo?

«Brava ragazza», dice con voce profonda toccandomi la punta del naso. Si stacca dal muro con una spinta decisa e va verso la doccia.

«Non intendo denudarmi davanti a te e tu non mi costringerai a farlo», metto le mani sui fianchi con fare risoluto.

Si toglie anche i pantaloni e li lancia verso di me. Coglione.

«Non devo costringerti», si gira lentamente verso di me mentre con la mano cerca di regolare la temperatura dell’acqua.

«Non lo farei mai», i suoi occhi sono due spade appuntite. «Tu ti spoglierai davanti a me perché vorrai farlo e non perché te l’avrò ordinato.».

Contraggo la mascella, infastidita. «Sei parecchio presuntuoso. E ora come dovrei lavarmi, visto che non voglio spogliarmi?»

«Non credo sia un problema mio. Ma non so, vestita?», suggerisce. «Terrò addosso i boxer, comunque», si piazza sotto il getto d’acqua e chiude gli occhi. Le goccioline scorrono sul suo viso e accarezzano il suo corpo muscoloso. Cerco di tenere gli occhi puntati sul suo viso, perché la tentazione di abbassarli è tanta.

«Io me ne vado», esclamo afferrando la maniglia della porta, ma quest’ultima non si apre.

«La chiave deve essere qui da qualche parte. Cercala pure, se vuoi», sorride malizioso e io sto per esplodere, nel vero senso della parola. Ho così tanta rabbia nel corpo che non so se ficcargli il soffione giù per la gola oppure tirargli un calcio nelle palle.

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora