Capitolo quarantatré

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Sono passati tre giorni dall’ultima volta che ho visto Xavier

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Sono passati tre giorni dall’ultima volta che ho visto Xavier. Tre giorni da quando Liam mi ignora e cambia direzione quando mi vede. Non so il perché, quindi eccomi qui, davanti alla sua stanza con una confezione di M&M’s tra le mani.

Busso alla porta e appena sento il suo debole “Entra, mamma”, la apro e la richiudo piano alle mie spalle. Liam è sdraiato sul letto, mi sta dando la schiena. Ha le ginocchia tirate verso il petto e sta stringendo tra le braccia un cuscino. I suoi capelli biondi sono un ammasso di nodi e le lenzuola sono aggrovigliate intorno alle sue gambe, come se avesse trascorso le ultime ore a lottare contro di esse.

«Purtroppo è la tua odiosa sorellastra», annuncio avvicinandomi piano al suo letto. Si gira lentamente per guardarmi. Una breve occhiata oltre la spalla. Non riesco a decifrarla, ma dal modo in cui si abbandona nuovamente contro il cuscino immagino che la sua voglia di fare conversazione sia pari a zero.

«Hai un aspetto di merda», esclamo e lui accenna un sorriso stanco, lo noto dalle piccole rughe d’espressione che si formano ai lati della sua bocca.

«Non sto molto bene», farfuglia e si stropiccia un occhio con la mano. Si tira su, adagiando delicatamente la schiena sui cuscini, e con un gesto molle mi fa cenno di avvicinarmi. Lui non è come Xavier, è più indulgente e accogliente. La sua stanza non è il suo rifugio; lui non racchiude i pensieri tra queste quattro pareti, ma li lascia andare.

Do un’occhiata rapida intorno a me e osservo le diverse foto sparse sulle mensole. Non ne ha neanche una insieme a suo padre.

«Cos’hai lì?», indica le mie mani nascoste dietro la schiena. «E cos’è successo alla tua faccia?»

«Ho qui un’offerta di pace», rispondo salendo a disagio sul letto, accanto a lui. Ripenso al pugno di Rora e mi assale una rabbia accecante. «Non ho niente. Non mi fa più male», aggiungo, le parole velate dal fastidio.

So che avrei potuto benissimo reagire, mostrare anche quella parte oscura di me, ma ogni volta che ripenso a Poppy non mi viene in mente una guerriera, ma una bambina a pezzi che è cresciuta troppo in fretta.

Inarca entrambe le sopracciglia. «Qual è l’offerta?»

Gli mostro il sacchetto blu e i suoi occhi si illuminano. Ha le guance leggermente arrossate e i capelli appiccicati alla fronte. L’odore non è così gradevole e credo sia arrivata l’ora per lui di farsi una doccia. È insolito vederlo in queste condizioni.

«Quelli ai cereali sono i miei preferiti», dice allungando la mano verso di me.

«Non ancora», lo guardo male e appoggio il palmo sulla sua fronte, facendolo trasalire. «Scotti», gli dico. «Credo tu abbia la febbre.»

«Impossibile, fuori c’è il sole», mormora scivolando sotto le lenzuola, coprendosi fin sopra il naso.

«Non credo dipenda dal sole, Liam», lo prendo in giro. «Hai già preso qualcosa?»

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora