Capitolo sei

15.3K 722 140
                                    

Non pensavo che quell’idiota mi avrebbe lasciato davvero la mancia

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Non pensavo che quell’idiota mi avrebbe lasciato davvero la mancia. Quando Charlie mi ha infilato il tovagliolo nella tasca del grembiule e mi ha fatto cenno di non aprirlo davanti a Gonzales pensavo fosse impazzito pure lui.

E adesso eccomi qui, con il tovagliolo tra le mani e un fiume pieno di insulti pronto a fluire verso Xavier.

Fisso la scritta insolente sul tovagliolo:

 “Cento dollari per la sigaretta e cento perché hai saputo zittire quel coglione”.

Affondo i denti nel labbro inferiore per reprimere questo piccolo e fastidioso sorriso che continua a rendere i miei tratti più armoniosi. Rimetto il tovagliolo stropicciato nella tasca e decido di farmi un giro su Tik tok per distrarmi.

Credo mi abbia lasciato una mancia così grossa soltanto per umiliarmi, ma decido di non pensarci più per non peggiorare il mio stato d’animo.

«Vengo in pace», dichiara mio padre, sedendosi davanti a me. I suoi capelli brizzolati sono umidi sulle punte e deduco abbia indossato la prima cosa che ha trovato nell’armadio, perché la sua maglietta bianca con lo scollo a V è piena di pieghe. Mia madre si sarebbe lamentata per almeno una decina di minuti e l’avrebbe costretto a cambiarsi. In ogni caso, non gli avrebbe permesso di uscire conciato così.

«Tu non vieni mai in pace», replico spostando lo sguardo sulla figura massiccia che sta per entrare in cucina. Dovrei ringraziarlo per la mancia? O dovrei mandarlo a fanculo?

«Avery, so cosa pensi di me, ma pensavo che la questione fosse ormai chiusa. Abbiamo chiarito, questa non è una storiella che finirà tra due mesi. Dannazione, ma perché non vuoi capirlo?», batte i palmi delle mani sul tavolo e io mi tiro indietro con uno scatto brusco.

Xavier apre il frigo e si versa da bere, ignorando completamente la nostra presenza.

«Pensavo fossi venuto in pace, papà. E te lo dico per l’ultima volta: questa non è la mia famiglia e non lo sarà mai. Non ti perdonerò mai per ciò che hai fatto».

«Non è colpa mia se tua madre non c’è più! La vita va avanti, Avery», si alza in piedi con fare autoritario e io lo seguo a ruota, non lasciandomi intimidire.

«È per colpa tua se io mi trovo qui», dico a denti stretti. «Ma non preoccuparti, sarà temporaneo».

«Che cosa vuoi dire?», apre le braccia con fare sconsolato, ma contraggo le labbra in una smorfia e mi dirigo con aria incazzata verso Xavier. Gli prendo il bicchiere che stringe tra le mani e trangugio in un solo sorso la sua spremuta d’arancia proprio davanti ai suoi occhi. «Come ci si sente a farsi i cazzi degli altri?», gli chiedo lanciandogli un’occhiata omicida.

«Avery! Non puoi andare in giro e trattare di merda le persone», mi rimprovera papà, facendomi sentire una vera imbecille.

«Beh, in questa casa l’educazione scarseggia, papà. Sto cercando di ambientarmi», mi stringo nelle spalle e poi me ne vado. Soltanto quando raggiungo la mia stanza rilascio un sospiro di sollievo e sento i miei polmoni svuotarsi completamente.

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora