Capitolo quarantasette

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«Avery?», la voce posata di mio padre sovrasta per un secondo il gemito sommesso di Noah

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«Avery?», la voce posata di mio padre sovrasta per un secondo il gemito sommesso di Noah. «Cosa ci fate qui fuori?», chiede e poso la mano su quella di Xavier per abbassargliela e sciogliere la sua presa.

Sento il suo sbuffo di protesta, ma questa volta decide di non lasciarsi andare ad uno dei suoi frivoli commenti e lo ringrazio col pensiero.

«Stavamo prendendo una boccata d’aria», gli sciorino la prima bugia che mi viene in mente mentre salgo i gradini con il cuore che mi percuote la cassa toracica ad ogni battito.

Gli occhi tristi di Noah mi scivolano addosso, intravedo un bagliore di speranza nelle sue pupille; forse si aspetta che io mi fermi e faccia intrecciare le dita alle sue, invece cerco di non mostrarmi troppo disgustata dal suo comportamento.

Non mi aggiudicherò il premio per la persona migliore dell’anno, ma pensavo di essere stata abbastanza chiara su quello che siamo. Non quello che potremmo essere, ma quello che siamo adesso. L’accordo, infatti, era questo: l’avrei seguito a New York in qualità di amica e avremmo trascorso il Capodanno insieme ad alcuni dei suoi amici.

«Noah, ragazzo mio, Lawson non vede l’ora di parlare con te. Adora essere intrattenuto da te», dice papà e mi pizzico la radice del naso, cercando di celare la smorfia dietro ad una leggera inclinazione del capo verso il basso. «Xavier, tua madre ha chiesto di te.»

Rialzo la testa e gli lancio un’occhiata oltre la spalla; Xavier è in piedi davanti alla scalinata, con le mani dentro le tasche dei pantaloni neri e le spalle tese.

Le sue emozioni non sono mai state trasparenti davvero. A parte l’odio e la rabbia che mostra senza alcuna difficoltà, le emozioni più intime rimangono sempre ben nascoste dentro di lui.

Anche in questo momento. Nel sentire la parola madre ha un sussulto, ma il suo viso non tradisce ciò che prova.

Ha quest’espressione ambigua stampata in faccia e non sai mai se gli importa molto o se non gli importa affatto.

È qui, certo, ma mentalmente è un po’ ovunque.

Una volta mi ha detto che soltanto io sono in grado di trovarlo quando si perde nei suoi pensieri e il ricordo mi strappa un sorriso.

«Lei potrebbe rimanere ancora un po’ con me?», chiede lui guardando mio padre. Gli sta sul serio chiedendo il permesso?

Mio padre si sente chiaramente a disagio, perché il suo sguardo serpeggia tra me, Xavier e Noah. Non sa cosa fare e quando il suo sguardo indugia per qualche secondo di troppo su di me, io gli faccio un cenno di assenso.

Assottiglia le labbra per una frazione di secondo e poi lo sento dire con fin troppa enfasi: «Ma certo! Non troppo, però», mi ammonisce con un’occhiata «Io e Noah aspetteremo dentro. Vieni», gli fa cenno di seguirlo.

Noah borbotta: «Non metterci secoli, per favore. Vorrei scusarmi davvero. Sono stato uno stronzo, mi dispiace. Ma mi piaci davvero», le sue dita gelide mi scivolano sul braccio nudo e mio padre si schiarisce la voce per richiamarlo. Appena rientrano e si chiudono la porta alle spalle, io mi giro verso Xavier.

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora