Capitolo trentaquattro

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«Non sto cercando di farti cambiare idea! Sto soltanto dicendo che se mia madre lo scoprirà, probabilmente ucciderà entrambi. Ti ha chiesto una sola cosa, Xav!», grida Liam sbattendo con forza la porta dietro di noi.

«Non me ne frega un cazzo. Non intendo tirarmi indietro. Non è da me, lo sai. Smettila di guardarmi come se avessi commesso un crimine», ribatte Xav, l’espressione dura come l’acciaio.

«Questi combattimenti non sono proprio legali, quindi rischi di rovinarti davvero la reputazione», Liam scuote il capo e gonfia le guance, cercando di trattenersi dal dire qualcosa di stupido. «Hai davvero pensato di tenermi all’oscuro da tutto questo?», riprende ad attaccare.

«So che Rob è il tuo fan numero uno. Non ha mai fatto lo stronzo e ha sempre rispettato le mie condizioni, ovvero tenerti fuori da queste stronzate, ma so anche che in fondo gode come un bastardo nel saperti di nuovo in quel posto», gli schiaccia l’indice contro il petto, adirato. Xavier, d’altro canto, strofina il pollice all’angolo delle labbra mentre le incurva con malizia verso l’alto e china il capo, spostando lo sguardo sul dito di Liam, che sembra quasi volergli scavare dentro.

«Avanti, Liam...», gli scocca un’occhiata implorante.

 «Io stesso ti ho supportato un sacco di volte. E posso capire ciò che stai provando adesso, l’adrenalina e la voglia di riprenderti ciò che sostieni ti sia stato tolto, ma perché non ti sfoghi con me prima? Dimmi cosa ti ha detto tuo padre. Cercherò di aiutarti, come ho sempre fatto.»

Scorgo l’esatto momento in cui i suoi occhi vengono attraversati da una rabbia animalesca. Suo padre è il coltello che si trascina nella schiena. Il suo nome è rimasto lì, infilato con precisione tra le scapole; un artiglio di fuoco che ghermisce le sue paure e le tira in superficie.

«Liam, io ho bisogno di tutto questo», cerca di spiegargli con calma. «Sto andando in giro come una bomba ad orologeria e sai che mi è stato insegnato a non cedere facilmente ad impulsi irrazionali e incontrollabili», mi guarda per una frazione di secondo, poi riporta lo sguardo su suo cugino.

«Allora vai in palestra e allenati! Problema risolto. Perché cazzo hai bisogno di colpire qualcuno per sentirti meglio?», continua a sbraitare Liam. La vena sulla sua fronte sembra sul punto di scoppiare.

«Perché io sono così, va bene? Chissà quando diavolo lo capirai, che non vado in giro come un animale in preda al delirio e che combattere, per me, è come giocare a basket per te. Sono stanco dei tuoi fottuti pregiudizi», il tono basso e glaciale. «Ti voglio bene, darei la mia vita per te, ma non riuscirai a cambiarmi. Io non sono te, Liam. Non lo sarò mai. Io non sono cresciuto come te...», deglutisce e sposta gli occhi in basso, come se sostenere il suo sguardo gli costasse troppa energia.

«Lo so, che non sei cresciuto come me. E sai che mi sarebbe piaciuto tirarti fuori da quella merda, se solo avessi avuto più voce in capitolo e fossi stato più grande», lo afferra con delicatezza per la maglietta e avvicina il viso al suo per guardarlo negli occhi. «Tu sei mio fratello e non ti lascerò mai solo, quindi smettila e dimmi perché lo stai facendo.»

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora