Capitolo ventuno

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«La mia piccola gemma è tornata dal paparino», le parole di David, il proprietario della palestra, mi sono scivolate addosso come un manto di lava nell’esatto momento in cui mi sono presentato davanti a lui senza borsone, ma con la voglia di ricom...

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«La mia piccola gemma è tornata dal paparino», le parole di David, il proprietario della palestra, mi sono scivolate addosso come un manto di lava nell’esatto momento in cui mi sono presentato davanti a lui senza borsone, ma con la voglia di ricominciare stretta nei pugni.

Fidati di me, Brooke.

L’ho delusa. Cazzo, so di averlo fatto. L’ho guardata negli occhi, la mia bugia le è rimasta incastrata tra le ciglia, il suo sguardo diffidente mi tormenta giorno e notte. Avevo promesso.

Ma le promesse, dopotutto, non servono soltanto a confermare i dubbi dell’altra persona? Non è un giuramento, è soltanto un lasso di tempo racchiuso all’interno di un cerchio, un periodo di prova in cui facciamo di tutto per fare cadere gli altri nella nostra ragnatela di bugie; poi il tempo inizia ad uscire fuori dai bordi, il cerchio si apre e la promessa si infrange.

Avevo promesso a mia madre che sarei stato in grado di liberarmi delle voci infestanti che mio padre ha piantato nella mia testa sin da bambino, ma adesso quelle voci affinano i contorni della mia mente e mi guidano verso scelte sbagliate come se fossi un burattino.

Brooke non mi guarderà più con gli stessi occhi di prima. Mi disprezzerà. Vedrà in me l’uomo che ha distrutto sua sorella?

Io non sono come lui. Non lo sono mai stato. O forse è un’altra delle bugie che mi hanno propinato durante gli ultimi anni?

Forse ha ragione Bruce.

Non sono appieno un Dillard.

Cazzo, perfino mia madre non lo è. Oltre alla bellezza, ormai quasi avvizzita, non le accomuna nient’altro. Brooke è gentile e lotta come una vera leonessa quando si tratta di proteggere la sua famiglia; mia madre invece si è chiusa nel suo mondo depravato insieme a mio padre e mi ha artigliato l’innocenza dandomi la colpa e facendomi piegare al cospetto di mio padre.

E io cosa sono?

Farei di tutto per Brooke e Liam, ma io non sono come mio cugino. Lui è il sole, io sono la luna. Lui è la spiaggia calda amata da tutti, io sono un’isola deserta in mezzo all’oceano. Lui è il cielo privo di nuvole in una giornata estiva, io sono il cielo nuvoloso che abbraccia la notte.

Con le dita premute sulle tempie, lascio che l’uccellino nero esca fuori dalla sua gabbia e cinguetti tra i miei pensieri mortiferi, smuovendo i ricordi da una parte all’altra, riportando in superficie la matassa ingarbugliata di dolore che si accovaccia nel mio petto.

L’uccellino nero trasporta sulle sue piume le ferite di un ragazzino e ogni volta che spicca il volo una piuma cade posandosi sul mio cuore. Con il passare degli anni le piume si sono trasformate in un nido e il nido si è trasformato in un fumo denso che mi opprime e mi tiene prigioniero. Quando cadrà l’ultima piuma, saprò che non c’è salvezza per me e che il ragazzino rimarrà per sempre intrappolato nel passato e incatenato alle parole di suo padre.

Se le stelle potessero parlareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora