𝟰𝟭. 𝗜𝗹𝗹𝘂𝗺𝗶𝗻𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗹𝗮 𝘃𝗶𝗮

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 L'ultima cosa che avrei voluto sentirmi dire, in quel momento, era quella di aspettare un figlio

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L'ultima cosa che avrei voluto sentirmi dire, in quel momento, era quella di aspettare un figlio. Non che non desiderassi diventare madre, anzi: molte mie idee erano cambiate da quando avevo perso Lucerys. Avevo aperto gli occhi sulla possibilità di un cambiamento, e diversamente dagli altri, che trattavano le donne semplicemente come servizievoli sforna bambini, credevo fermamente che generare vita fosse un dono preziosissimo. Ma le condizioni in cui era caduta Westeros e l'aria di guerra che ancora si respirava, non mi entusiasmava dal mettere al mondo un bambino.

Non dopo la perdita di Rhaenyra, per giunta.

Fu difficile accettare la maternità. Soprattutto perché la realtà mi pose dinanzi a qualcosa che non avevo scelto e che non avrei potuto cambiare. Quella creatura aveva perso un padre ancor prima di conoscerlo. E con il ventre che si gonfiava giorno per giorno, e Jacaerys che mi impediva di fuggire in sella al mio drago per vendicarmi di Aegon, Rhaegal cominciò ad agitarsi. Impaziente ed irrequieto, pareva lamentarsi delle nuvole che nascondevano gelosamente la luna piena. Quasi avesse urgenza di comunicare con me. E quello era l'unico modo in cui poteva farlo.

Trascorsi parecchie ore affacciata alla balconata semidistrutta del castello del Nero, in attesa che quelle nuvole si spostassero, anche solo di poco, affinché il drago potesse mostrarmi la via. Illuminarla. In procinto di crollare addormentata, però, ecco che Rhaegal saltò sulla balconata, e sfruttando la misticità della luna, piantò gli occhi nei miei. Avevamo poco tempo prima che le nuvole si riappropriassero del loro posto.

Dapprima, nel mio campo visivo prese forma un immagine. Il tempio di Baelor. Poi la visione si estese, raggiungendo gran parte della città, che mi si presentava fumante e devastata. Che quello fosse il mio destino?

Diciamo tantissime cose quando siamo in preda al dolore. Ma avrei davvero dato fuoco alla città, mettendo a rischio persone innocenti, soltanto per la mia tanto agognata vendetta?

Tuttavia siamo noi a decidere del nostro fato.

🐉

Venne giorno, quando provai ad aprire la porta della stanza, per rendermi successivamente conto che questa non si apriva. Che fosse bloccata, o volutamente chiusa, non mi fu comunque difficile arrivare al responsabile. Jacaerys mi impediva categoricamente di fare sciocchezze, soprattutto per via delle mie condizioni. Ma se c'era una cosa di me stessa che avevo appreso, grazie a Daemon, era l'astuzia. E non mi sarei fatta problemi nel metterla in atto.

"Dohaeris, Amethyx!" esclamai, sporgendomi oltre la balconata. Il mio drago non si allontanava da me da giorni ormai, e questo in qualche modo facilitò la mia fuga. Amethyx si mise in piedi, e dopo essersi scrollata il torpore di dosso, le bastò agitare le enormi ali un paio di volte per raggiungermi all'esatta altezza di quella che un tempo era la finestra. Non mi voltai indietro. Tuttavia, prima di scavalcare, lo sguardo calò inevitabilmente sul mio ventre gonfio. E i miei pensieri volarono a lui. Alla causa dei miei problemi, e simultaneamente a colui, l'unico e il solo, che avrebbe potuto risolverli.

Feci appena in tempo a montare in sella al drago, con qualche difficoltà, prima che Jacaerys - accortosi del trambusto - spalancasse la porta. "Visenya!" esclamò sconcertato. Avevo già afferrato le redini di Amethyx.

"Visenya, non puoi agire sconsideratamente! Non hai un piano e le tue condizioni non ti permettono di affrontare un lungo viaggio-" Giunse anche Baela, dopo aver udito il suo futuro sposo urlare in preda al panico, 

"Ne tu, ne tantomeno gli Dei potranno fermarmi, Jacaerys"


𝐌𝐎𝐎𝐍 𝐃𝐀𝐍𝐂𝐄𝐑 [𝐀𝐞𝐦𝐨𝐧𝐝 𝐓𝐚𝐫𝐠𝐚𝐫𝐲𝐞𝐧]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora