- CAPITOLO 55 -

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DEREK


Derek aveva ingranato la marcia prima ancora di chiudere la portiera dell'auto.

Qualcuno aveva strappato gli occhiali da sole dal viso di Sophy e li aveva scaraventati contro un muro di mattoni. Prima che le lenti si infrangessero, le videocamere avevano inquadrato un uomo incappucciato e con il viso in ombra, poi avevano smesso di trasmettere informazioni. Sophy era in pericolo.

Derek non ci aveva pensato nemmeno un attimo prima di partire alla volta dello stadio. Aveva guidato come un folle ignorando i segnali, i semafori, i clacson e le imprecazioni degli altri automobilisti. Qualcuno stava aggredendo la sua Sophy, al diavolo il codice della strada! Era arrivato nei pressi dello stadio in pochi minuti ed aveva lasciato l'auto rasente il primo marciapiedi disponibile, poi aveva iniziato a perlustrare la zona a piedi, urlando a squarciagola il nome di lei, con un crescente senso di panico nel petto.


Quando notò il vicolo stretto tra due basse palazzine di mattoni, il suo cuore perse un battito. Era contro quei mattoni che gli occhiali di Sophy si erano infranti.

«Sophy!» gridò per l'ennesima volta mentre si avvicinava al vicolo.

Svoltò tra i due palazzi e...

Due corpi immobili erano riversi, uno sopra l'altro, a ridosso di una delle pareti. Il sangue, diluito dalla pioggia incessante, copriva l'asfalto e appestava l'aria con il suo tanfo metallico. Poco distante, un coltello imbrattato di quel vischioso liquido rosso, giaceva abbandonato. Il tempo sembrò dilatarsi mentre osservava quelle due figure insanguinate, un uomo vestito di nero e, sotto di lui, una donna esile con un abito a fiori.

«Sophy!»

Questa volta il suo fu un sussurro spezzato più che un vero e proprio richiamo.

Le due figure non si mossero.

Derek coprì lo spazio che lo separava da quella scena e crollò in ginocchio. Le mani gli tremavano mentre sollevava il corpo dell'uomo. Per un istante lo stupore sostituì il panico imperante: l'uomo era Ivan. Lo sguardo di Derek registrò la sanguinolenta e fatale ferita che aveva al collo. Era morto.

Afferrò il corpo inerme di Ivan da sotto le braccia e lo spostò malamente di lato. La piccola e fragile figura di Sophy si stagliò di fronte al suo sguardo allarmato. Aveva gli occhi chiusi ed il vestito intriso di pioggia e sangue non suo. Derek trattenne a stento un pianto liberatorio quando notò il petto della ragazza sollevarsi ed abbassarsi con ritmo cadenzato. Era viva.

«Sophy! Sophy, sono io!» disse sfiorandole il corpo in cerca di eventuali ferite. «È finita. È tutto finito. Sei al sicuro adesso».

Lei non rispose, né si mosse.

«Ti prego, Sophy! Ti prego, apri gli occhi!»

Le lacrime iniziarono a colargli sul viso già bagnato di pioggia mentre si toglieva la giacca di pelle per avvolgervi il piccolo e tremante corpo di lei. La prese tra le braccia e, con la manica della camicia, iniziò a sfregarle delicatamente il viso. Aveva macchie di sangue incrostato sulle labbra delicate, sulle guance gelide, sulle palpebre chiuse, sulle ciglia scure. Derek, tra dolci carezze, silenziose lacrime e rassicuranti sussurri, pulì con cura ogni centimetro della sua pelle pallida e delicata.

«Va tutto bene piccola, va tutto bene. Sono qui con te. Apri gli occhi, ti prego! Ti prego, Sophy, guardami!» La voce gli si ruppe mentre le palpebre di Sophy si fecero tremolanti prima di schiudersi sui suoi meravigliosi occhi chiari e offuscati dal terrore.

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