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Anika

Era lunedì e mi stavo preparando per andare a scuola. Penelope e Jonathan erano tornati dal loro viaggio di lavoro solo la sera prima, a notte fonda, e non li avevo ancora salutati. Dovevo ammetterlo, mi erano mancati.

Forse mi erano mancati per il semplice fatto che con loro mi sentivo più forte, quasi intoccabile per Tyron se non voleva finire in punizione. Anche se a lui di quelle punizioni non importava un ficco secco.

Quei due giorni trascorsi con lui, noi due da soli, mi erano sembrati eterni. La maggior parte del tempo Tyron era stato fuori casa, ma quando tornava io facevo il possibile per rimanere dentro la mia stanza, con la porta chiusa a chiave stavolta.

Non avevo idea se fosse tornato ubriaco altre volte, né volevo saperlo. Avevo fatto da balia a mia madre mentre era ubriaca negli ultimi cinque anni, non avevo intenzione di ripetere l'esperienza con lui.

Non si trattava di egoismo, ma di paura nell'affrontare uno dei mostri del mio passato.

C'è chi era forte e poteva farcela, io evidentemente non rientravo in quella categoria.

Voglio dire, come potevo essere forte se avevo trascorso le ultime due notti in bianco perché il mio peluche era rotto?

Mentre abbottonavo uno per uno i bottoni della mia camicia, lanciai un'occhiata al peluche posato con cura su una poltroncina posta in un angolo. Del cotone fuoriusciva allo squarcio nella stoffa e la zampina che gli era stata strappata via era posata accanto a lui.

Era frustrante l'aver bisogno di quel peluche come di respirare, ma non potevo fare altrimenti. Tutto l'amore che avevo sempre voluto e che nessuno era stato in grado di darmi era racchiuso in lui e nella voce registrata di una donna che nemmeno si era degnata di cercarmi da quando gli assistenti sociali mi avevano portata via da lei.

Chiusi l'ultimo bottone, annodai la cravatta bianca e blu attorno al collo e indossai la giacca. Ai piedi portavo degli stivaletti neri. Avevo intrecciato i capelli in una lunga treccia e avevo applicato un po' di mascara. Ero pronta.

Mi misi lo zaino in spalla e feci per andare, ma mi bloccai sulla soglia e lanciai un'ultima occhiata al mio orsacchiotto. Ci pensai giusto due secondi prima di decidere di prenderlo e metterlo nello zaino.

Avevo chiesto a Prudence se sapesse cucire il giorno seguente a quel mio scontro con Tyron, ma mi aveva detto di non esserne in grado. Magari dopo scuola avrei potuto portarlo da una sarta, così sarei finalmente riuscita a chiudere occhio stretta a lui sotto le coperte.

Uscii dalla mia stanza e attraversai il corridoio. La porta di Tyron era aperta e mi venne quasi istintivo gettarci uno sguardo, ma me ne pentii subito dopo quando notai che indossasse solo i boxer, intanto che era in piedi davanti alla cabina armadio. Era girato di spalle e sulla schiena aveva tatuate delle ali d'angelo, che sembravano quasi pronte a spalancarsi per spiccare il volo ogni qualvolta in cui muoveva le braccia. Attorno alla caviglia e lungo il polpaccio invece vi era un serpente che lo avvolgeva.

Angelo e serpente. Paradiso e Inferno.

Un angelo caduto perché non degno di sedere insieme a Dio.

Dovevo essere arrossita sia per quella vista che per i pensieri che avevano iniziato ad affollarmi la testa, anzi ne ero certa, perché avvertivo un certo caldo e la faccia che andava a fuoco.

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