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1. Perdere tutto

Apro le persiane della mia finestra scorgendo New York alle prime luci dell'alba.

Il sole comincia a sorridere ed illuminare piante e fiori che lentamente si risvegliano dalle ombre che li hanno cullati tutta la notte.

La festa di mia sorella Missy è stata bella, avrei voluto godermela al meglio ma purtroppo la telefonata di Roy mi è tornata alla mente per tutta la serata.
"Il tuo progetto è fallito."
Com'è possibile?

Prima di arrivare a portare al commercio un progetto, ci lavoro mesi, controllo ogni minimo dettaglio rimettendoci ore di sonno, una dieta non equilibrata che spesso porta a dei digiuni, per non parlare della mia relazione con Dough che è naufragata dritta su una corona di scogli.

Ho un sacco di pensieri per la testa ma non saprò niente fino a quando non entrerò in ufficio davanti a Roy, il mio capo e non mi spiegherà cosa è andato storto in questo progetto al punto di decidere di eliminarlo dal commercio.
Mi vesto, la mia solita gonna aderente e la camicia che porto in ufficio, calzo le mie scarpe di vernice ed esco dalla stanza, guardo il comò, la nostra foto a Disneyland è ancora appoggiata sulla superficie in legno e lì deve rimanere, non mi va di ricordare, non so nemmeno dove si trova al momento Dough e non provo a chiamarlo, so per certo che non mi risponderebbe.

Bevo un caffè al volo ancora freddo e senza zucchero, di solito c'era lui a farmi trovare tutto pronto, si svegliava prima di me, mi preparava la colazione, aspettava che me ne andassi e poi andava a sua volta a lavorare, stamattina questa casa è spoglia.

Non ho voluto dire né a Missy né a mio padre della mia ennesima relazione andata in malora, mio padre sta perdendo le speranze con me, ogni volta in cui gli presento qualcuno, si fa dei castelli mentali che includono il mio arrivo all'altare con l'uomo in questione rimanendoci male ogni volta e a vedere mia sorella che invece, a vent'anni ha una relazione stabile da tre con la stessa persona, gli cado ancora più in basso.

Potrei parlarne con mia madre ma non mi conviene, da quando si è lasciata con papà e lui ha avuto una figlia con un'altra donna, vede negli uomini un ammasso di carne che sopravvive utilizzando il sesso come pretesto per qualsiasi cosa e con poca materia grigia, mi farebbe venire malinconia e immenso senso di colpa con le sue uscite, cercando di difendermi in miniera ingiustificata, è tutta colpa mia se ci siamo lasciati, mi sono dedicata ad un progetto che non ha avuto alcun riscontro positivo, anzi, probabilmente dovrò subirne le conseguenze.

Salgo in auto, inforco gli occhiali da sole, i raggi sono bassi ma terribilmente luminosi e questo reca disturbo alle mie iridi chiare e alle retine particolarmente sensibili di prima mattina.
Eccomi alle prese con il solito tragitto che eseguo da oltre tre anni, il tempo di aver acquistato la mia bellissima casa ed eccoli svettare in mezzo ad una distesa verde, i palazzi che simboleggiano la metropoli: New York.

Il traffico è scorrevole, ci si muove ancora bene in corsia di sorpasso, i semafori mi rallentano ma questo ormai è il mio pane quotidiano.
Mamma mi dice spesso di vendere la mia auto e spostarmi tramite mezzi pubblici, ritaglierei del tempo e potrei alzarmi dopo la mattina ma non me ne sono mai curata, mi piace abbassare i finestrini, soprattutto d'estate, e godermi il viaggio.

Parcheggio l'auto nel mio posto assegnato e mi guardo nello specchietto, sistemo quel poco di matita nera che è sbavata sulla palpebra destra e rimetto gli occhiali, sistemo i miei vaporosi capelli rossi e sono pronta ad uscire dall'auto, paio risoluta, in verità dentro mi vibrano le ossa dalla paura.

La porta in vetro scorrevole si apre e sospiro, non so fare altro da quando sono arrivata.
I colleghi mi guardano, farfugliano qualcosa tra una scrivania e l'altra, mi conoscono da anni eppure mi guardano come se fossi quella nuova, quella che deve eseguire ancora la gavetta prima di arrivare ai loro livelli.