Capitolo LXXXIII

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La prigione

La torre si stagliava fiera all'orizzonte sul cielo chiaro. 《Coraggio uomini! Andiamo! Liberiamo i nostri compagni!》gridò Victorius a cavallo.
Marco era insieme ai suoi legionari in cima alla collina. Iniziò la marcia , suonarono i corni , batterono gli scudi con le spade , generando un possente clangore.
《Avanti!》gridò il centurione.
Le grida dei legionari riempiono la valle in cui El Cheopl sorgeva.

L'Aquila vide le vedette sulla torre pietrificarsi per un istante , poi gli parve di udire le urla spaventate delle guardie mettersi in formazione di fronte ai cancelli della prigione.
《Testudo!》
I soldati si avvicinarono l'un l'altro alzando gli scudi sopra le loro teste.
Marciarono in sincrono all'interno del villaggio fino a che non si trovarono di fronte alle porte. Erano aperte , difese da un battaglione di picchieri , schierati in formazione a falange.
《Sì prospetta un bello spettacolo.》borbottò il centurione.
Una pioggia di frecce carambolò sopra le loro teste , andando ad infrangersi sulla formazione difensiva avversaria.
《Attendiamo che i tiratori finiscano di logorarli.》Urlò ai suoi sottoposti.
Sulle mura giallastro comparvero alcuni schermagliatori. Una pioggia di dardi si abbattè sui tiratori alle loro spalle.

《Avanti! Dobbiamo avanzare ora!》
Passo dopo passo , gli scudi incontrano le lunghissime lance partiche.
《Attenti ai loro affondi!》Ordina bloccandone uno in quell'istante. Un'altra lancia appare vicino al suo viso , costringendolo a chinarsi per evitare il colpo fatale.
Un'altra picca tenta di colpirlo.
Con l'ausilio dello scudo la scosta la picca sulla sua destra , aprendosi un varco. Evitando un'altra lancia continua ad avanzare e , con orgoglio e piacere , nota che i suoi principes stavano seguendo il suo esempio. Giunse faccia a faccia con il picchieri di fronte a lui e , con un colpo dello spigolo dello scudo sul naso lo fa precipitare all'indietro. La formazione difensiva era stata brecciata in più punti dai prodi legionari.
Superati altri due difensori si trova all'interno di un grosso cortile. La torre si trova sopra un grosso e alto edificio che faceva da base , pareva una sorta di stalla. Altri cinque legionari lo raggiungono mentre altri ancora si apprestavano a far lo stesso.
La grata si alza , scoprendo il legno della mastodontica porta che , scricchiolante , si spalanca. Ne esce una enorme figura grigia.. Un maestoso barrito fece tremare le mura della prigione.
L'elefante da guerra alza la proboscide al cielo , mostrando le gigantesche zanne. Una delle Aquile vicino allufficiale impugna un pilum , prende la rincorsa e scaglia il giavellotto contro la bestia.
La lancia si infrange sulla lucente corazza che copre la dura pelle della creatura. In groppa ad essa , due arcieri parti stavano prendendo la mira sui poveri malcapitati. Due dardi piovono vicino a loro , uno colpendo la gamba di un soldato , un'altro viene intercettato dallo scudo. Il ferito viene portato lontano dallo scontro da uno dei compagni. Alcuni picchieri li punzecchiano alle spalle. Marco si volta , affrontandoli. Non erano avversari pericolosi , lo erano solo se in grossi gruppi compatti , come lo erano prima. Evita un colpo e con il gladio sbilancia la presa sul manico della picca , facendo perdere la presa al guerriero nemico.
Con una rapida corsa ed un colpo in salto neutralizza il suo avversario.
Lascia cadere lo scudo e ripone il gladio nel fodero. Afferra l'arma che era precedentemente appartenuta alla sua vittima ,puntandola verso l'elefante da guerra. Prende a correre verso la bestia. Mirando al viso , ferisce leggermente l'animale , facendolo imbestialire ulteriormente. Per l'agitazione della loro cavalcatura gli arcieri sopra di essa mancano il bersaglio , conficcando i dardi nella sabbia del cortile.
Un'idea balena in mente a Marco. C'era un solo punto in cui poteva davvero avere un vantaggio sull'animale. Cerca un'entrata per le mura. Ne vede una poco lontano da lui. L'elefante , lo insegue , dimenando la proboscide a destra e a sinistra. Un colpo finisce proprio affianco al ceturione , frantumando delle resistenti casse di legno.
Entra nella torre , appoggia la picca sulla parete , sapendo che gli sarebbe servita più tardi. Impugna la spada e comincia a salire le scale. Si fa strada fino in cima , scaraventando giù uno schermagliatore , ferendo una guardia ed uccidendo uno spadaccino. Esce sulle mura. Deserte. Si volta in basso l'elefante è poco lontano dal punto in cui si trovava , stava inseguendo alcuni legionari.
Corre al piano terra , afferra la picca e , seppur rallentato dall'ingombro che tale arma comportava in spazi ristretti , giunge in cima alle mura.
Il suo obiettivo era esattamente di fronte a lui. Impugna saldamente la lancia e indietreggia un po. Inspira , poi si lancia in una corsa veloce. Salta e pianta a terra la punta della lancia. Con l'aiuto di questa atterra sulla groppa dell'elefante. Si aggrappa con tutte le sue forze sulla sella dove i tiratori continuavano a mietere vittime. Si issa dentro questa e , silenziosamente , estrae la spada.
Spingendo uno alle spalle lo fa cadere di sotto , di testa. L'altro si accorge della mancanza dell'alleato e si volta verso di lui. Afferra la mano in cui il centurione teneva la spada , invano. Con un forte spintone lo fa cadere seduto , per poi finirlo con una ginocchiata sul viso. E ora , doveva eliminare la bestia che stava massacrando i suoi uomini. Ma come? Vede che uno dei suoi soldati lo sta guardando.
《Lanciami un giavellotto!》
Il soldato annuisce e corre a procurarsi un pilum. In pochi secondi è tornato e si avvicina alla creatura dal fianco per evitare di essere schiacciato o infilzato dalle zanne.
Passa la lancia al principes che la strige nelle mani.
《Ora arriva la parte difficile.》
Esce dalla sella e si avvicina alla testa della creatura. Alza l'arma e , con decisione , ferisce l'occhio della bestia. Un barrito immane accompagna l'alzarsi su due zampe dell'elefante , che cade seduto e poi , un istante dopo che il giovane eroe si lasciasse cadere a terra , sulla schiena. Respirava ancora.

Alcuni ausiliari giunsero con delle corde e dei chiodi e legarono l'animale ferito , per evitare altri scatti d'ira.

《Centurione. Vuole avere l'onore di venire ad aprire le celle?》Chiese un'aquila. Il giovane , grondaie di sudore e senza fiato , annuisce.
Entrarono nelle segrete. Già molti soldati romani erano lì raccolti. Tante celle erano già aperte e i latini si aiutavano gli uni con gli altri , medicando , cibando , informando i compagni ritrovati. Delle mani uscivano dalle celle più in fondo al corridoio.
"Aprite!" "Aiuto!" Imploravano i prigionieri. Marco aprì una delle celle da cui io vociare era maggiore. I romani richiusi lo ringraziarono ad iosa. Strinsero le mani , lo abbracciarono. Una decina di soldati uscirono dalla stanza appena aperta. Tuttavia uno era rimasto dentro.
Marco lo squadrò. Aveva qualcosa di famigliare. Rimaneva fisso a guardare attraverso la finestrella della cella la IV Legione entrare in cittá , nella prigione , scacciare i nemici.
Marco lo osservò portare le mani al viso. Singhiozzava. Quell'uomo solo che piangeva gli fece pena. Gli si avvicinò.
《Grazie , santi numi , grazie.》
Marco si bloccò. Conosceva quella voce. Non la avrebbe mai dimenticata. Quella voce...
Uno dei prigionieri poco prima usciti rientrò.
《Centurione Tito?》Domandò il prigioniero appena evaso.
Il prigioniero si voltò. Lo osservò poi , stupito , guardò Marco a bocca aperta.
《Marco?》Chiese.
《Flavio...》sibilò il centurione.

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