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Non avevo mai visto Sarah così.

Sapevo di essere dura con lei, a volte troppo. Lei è sempre così dolce, così attenta, e io così distante, fredda, quasi crudele. Ma non l'ho mai fatto per cattiveria, solo per difesa. C'è qualcosa in Sarah che mi spaventa. Qualcosa che mi fa sentire vulnerabile, che mi mette a nudo in un modo che odio e, al contempo, desidero disperatamente. Forse è per questo che oggi, durante Message in the Bottle, non ho voluto scriverle nulla. Non mi sono permessa di mostrare nemmeno un po' di quel lato di me che lei sembra essere in grado di vedere così chiaramente.

Quando ho letto il suo messaggio, non ero preparata. Le sue parole erano colme di affetto, di dolore e di... amore? Non l'ha detto esplicitamente, ma ho capito. Mi conosce così bene. Troppo bene. Ogni riga mi colpiva come una lama. Ero lì, seduta tra gli altri, con quel foglio tra le mani, e mentre leggevo, la sua scrittura minuta sembrava gridarmi in faccia tutto ciò che avevo sempre cercato di ignorare.

Avrei dovuto risponderle. Avrei dovuto scrivere qualcosa, qualsiasi cosa. Ma invece ho lasciato il silenzio parlare per me. Pensavo che bastasse mantenere le distanze, ma ora capisco quanto ho sbagliato.

Sarah non aveva ricevuto nessun messaggio, nemmeno una singola banale riga, da parte di nessuno. Mi mordo le mani per questa stronzata, mi sento veramente male, ora.

Quando ho visto Sarah uscire dalla sala, con lo sguardo basso e le lacrime agli occhi, un nodo mi si è stretto in gola. Non è andata subito in bagno. È rimasta ferma, per qualche secondo, immobile, e poi è scoppiata. Le lacrime le scorrevano giù per il viso come un fiume in piena, e prima di riuscire a dire qualcosa, l'ho vista correre via. Ho provato a inseguirla, ma mi sono bloccata. La colpa mi inchiodava al pavimento.

E poi l'ho sentita. La sua voce. L'ho sentita urlare il mio nome dall'altra parte della porta del bagno. Gridava, con rabbia, con dolore. "Perché fai sempre così? Perché mi tratti come se non valessi niente per te?" Ogni parola era una stilettata, e io non riuscivo a muovermi. Mi sentivo paralizzata dal peso delle mie azioni.

"Non capisci quanto ti voglio bene?" ha continuato, singhiozzando tra le frasi. "Non capisci che tu sei tutto per me? Eppure tu non mi vedi nemmeno." La sua voce si spezzava ad ogni parola, ed era come se ogni pezzo del mio cuore si frantumasse insieme a lei.

Non potevo più sopportarlo. Dovevo fare qualcosa. Ho bussato alla porta. "Sarah..." ho mormorato, ma non riuscivo a trovare le parole giuste. Cosa avrei dovuto dirle? Che ero spaventata? Che non sapevo come gestire ciò che provavo per lei? Che ero una codarda?

La porta non si è aperta. Sentivo i suoi singhiozzi dall'altra parte. Non avevo mai sentito qualcuno piangere così. Ero io che l'avevo ridotta in quello stato, io che avevo ignorato i suoi sentimenti, le sue attenzioni. Ed era troppo tardi.

"Ti prego, fammi entrare," ho sussurrato, la mia voce rotta quasi quanto la sua. "Sarah, ti prego... mi dispiace." Ma lei non rispondeva. Il silenzio era assordante.

Ho appoggiato la fronte alla porta, chiudendo gli occhi. Il legno freddo mi dava un po' di conforto, ma non abbastanza per alleviare il peso che mi schiacciava il petto. Il silenzio dall'altra parte continuava, e io non sapevo se Sarah stesse ancora piangendo o se semplicemente avesse smesso di ascoltarmi. Avrei potuto girare i tacchi e andarmene. Sarebbe stato più facile. Ma non potevo lasciarla così, non dopo quello che le avevo fatto. Non dopo tutto il dolore che le avevo causato.

Ho preso un respiro profondo. "Lo so che ti ho fatto soffrire, Sarah," ho detto, più forte questa volta. "Lo so... e hai ragione a odiarmi. Non ti ho mai trattata come meriti, ma... non è perché non mi importa. Anzi, è proprio il contrario." Mi sono interrotta, cercando le parole giuste. "Se ti ho fatto sentire invisibile, è perché io stessa non riesco a guardarti senza sentirmi a pezzi. Mi fai sentire debole, Sarah, e io odio essere debole."

La porta è rimasta chiusa, ma c'era qualcosa nell'aria che sembrava cambiato. Forse mi stava ascoltando, o forse era solo una mia speranza disperata.

"Ti ho evitata perché non sapevo come affrontare quello che provo," ho continuato, con la voce che mi tremava. "Non sono mai stata brava a... a capire i miei sentimenti, figuriamoci a esprimerli. E tu, tu sei così pura, così sincera. È come se riuscissi a guardare dentro di me, e questo mi terrorizza."

Non sapevo se le mie parole avrebbero avuto qualche effetto, ma dovevo continuare. Dovevo dirle tutto.

"Non volevo ferirti," ho sussurrato, abbassando la testa. "Ma l'ho fatto, e non so come rimediare."

C'è stato un momento di silenzio assoluto, e poi ho sentito il clic della serratura. La porta si è aperta lentamente, e lì, davanti a me, c'era Sarah. I suoi occhi erano gonfi di pianto, le guance rigate di lacrime. Era distrutta. Eppure, anche così, era bellissima. Vederla in quello stato, per colpa mia, mi ha spezzato il cuore in mille pezzi.

Non ha detto nulla. Mi ha solo guardata, con quel misto di dolore e confusione che mi ha fatto sentire più piccola di un granello di polvere. Non sapevo cosa fare. Non sapevo se abbracciarla, se chiedere scusa ancora o se semplicemente andarmene e lasciarla in pace. Ma prima che potessi decidere, è stata lei a parlare.

"Perché?" ha sussurrato, la voce roca. "Perché mi fai sentire così? Un giorno mi guardi come se fossi l'unica persona al mondo, e il giorno dopo mi tratti come se non esistessi. Non ce la faccio più, Angela. Non capisci quanto mi fai male?"

Ogni parola era una pugnalata. Non sapevo cosa dire, perché sapevo che aveva ragione. L'avevo trattata male, troppo male, e adesso rischiavo di perderla per sempre.

"Lo so," ho risposto, la mia voce quasi impercettibile. "Lo so, Sarah, e non so come farmi perdonare."

Lei mi ha guardata intensamente, come se cercasse una risposta nei miei occhi. E poi, lentamente, ha scosso la testa. "Non voglio che tu mi chieda scusa, Angela. Voglio che tu decida. O mi lasci entrare nella tua vita, o mi lasci andare. Ma non posso più restare sospesa tra il tuo amore e la tua indifferenza. Non ce la faccio più."

Quelle parole erano una scelta. E io dovevo prendere una decisione, lì e subito.

Mi sono avvicinata a lei, con il cuore in gola. Il mio respiro era corto, le mie mani tremavano leggermente. "Sarah," ho detto, guardandola dritta negli occhi. "Io... non so come comportarmi con te. Non so essere quella che meriti, ma so che non posso perderti. Non ci riesco."

Lei mi ha fissato, il respiro affannoso, in bilico tra il desiderio di credere alle mie parole e la paura di soffrire di nuovo.

"Ti prego," ho continuato, la voce che si spezzava. "Dammi una possibilità. Una vera possibilità. Voglio provarci. Con te."

Per un lungo istante, il silenzio è caduto tra di noi. Ho visto l'incertezza danzare nei suoi occhi. E poi, lentamente, le sue labbra si sono dischiuse in un tremito.

"Non farmi più soffrire, Angela," ha mormorato, avvicinandosi di un passo. "Non ce la farei."

Con delicatezza, ho preso le sue mani tra le mie. "Non ti farò soffrire, Sarah. Non più."

ATTIMO - SAJOLIEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora