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L'appartamento di Miriam era all'ultimo piano di un palazzo popolare malandato, senza ascensore

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L'appartamento di Miriam era all'ultimo piano di un palazzo popolare malandato, senza ascensore. Le scale, strette e buie, sembravano interminabili, con le pareti scrostate che odoravano di muffa e di mozziconi di sigaretta. Salendo quegli scalini, mi ricordavo dei numerosi pomeriggi passati da loro, quando Vasil e Miriam vivevano coi nonni, che ormai non c'erano più.

La porta di casa era socchiusa. Potevo già sentire il bambino piangere a pieni polmoni, il suo pianto disperato che riempiva l'aria come una nota stridula. La voce di Miriam, paziente ma affaticata, gli sussurrava dolcemente qualcosa per calmarlo. Spinsi la porta in avanti e chiesi permesso.

"Entra, entra." Rispose Miriam, la sua voce frettolosa, come impaziente di rivedermi. La trovai lì, in piedi, con il bambino tra le braccia, cullandolo con movimenti meccanici, gli occhi cerchiati di fatica e l'aria esausta di chi ha imparato a non chiedere più nulla dalla vita, se non un po' di pace per il suo piccolo.

L'interno della casa non era cambiato. Gli stessi mobili ingombranti, scuri e segnati dall'usura, erano rimasti al loro posto, circondati da pochi soprammobili, ammassati sugli scaffali, testimoni silenziosi di una vita che andava avanti. L'unica differenza era la culla, un po' malconcia, piazzata al centro del salotto, insieme a una serie di giocattoli, biberon e vestitini sparsi ovunque.

Miriam mi venne incontro, visibilmente provata. I suoi capelli scuri erano scompigliati, il piccolo le aveva strappato via la molletta, che ora pendeva disordinatamente da un lato, insieme a una ciocca ribelle che le cadeva sulla guancia. Nonostante tutto, emanava una bellezza che sapeva di maturità. Aveva all'incirca l'età di mio fratello, ma dimostrava di più, forse a causa delle preoccupazioni che le gravavano addosso.

Il suo sorriso, anche se stanco, emanava l'amore incondizionato per quel figlio che teneva in braccio, stringendolo come fosse la sua unica ragione per andare avanti. Mi accorsi subito che lo stava reggendo in modo sbagliato, troppo rigido. Lo sapevo grazie a mio nipote. Forse era per questo che piangeva, ma non potevo esserne sicuro, quindi non parlai.

"Chi non muore si rivede!" Esclamò, accogliendomi con un sorriso stanco. "Scusa il disordine, se non c'è Vasil ad aiutarmi non ho tempo per sistemare la casa. Lui si chiama Liam." Si fermò di colpo, annusando il pannolino. "Oh no, mi sa che lo devo cambiare di nuovo."

"Non fa niente, prenditi il tuo tempo, io posso aspettare."

Miriam andò in bagno, e io mi accomodai sul vecchio divano di stoffa consunta. Sul tavolino di fronte a me, c'erano dei piccoli fogli bloccati da un soprammobile arrugginito. Guardando meglio, mi accorsi che erano foto stampate in casa, la carta leggera e sbiadita, tipica di una stampante economica. La mia curiosità prese il sopravvento e sollevai un lato del mucchio, facendo attenzione a non spostare nulla. La prima foto mostrava Miriam insieme a un uomo che doveva essere il padre di Liam.

Passai velocemente alle altre, alla ricerca di qualcosa di più familiare. Ce n'era una in cui Miriam era in compagnia di diverse persone. Mentre cercavo di riconoscere qualche volto, i miei occhi si fermarono su di una donna in particolare. Il mio cuore accelerò. Prima che potessi soffermarmi a capire se fosse davvero lei, sentii i passi leggeri della ragazza che tornava dal bagno.

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