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POV DARIO

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POV DARIO

Ripensavo spesso a quella discussione, e ogni volta mi sentivo sopraffatto dalla delusione. Sapevo che sarebbe stato difficile aprirmi con Eliana – addirittura pericoloso, considerando che rischiavo di perdere tutto – ma mai avrei immaginato che avrebbe reagito con così poca empatia. Anche nella sua indignazione, mi sarei aspettato almeno un briciolo di comprensione o interesse.

Soltanto Nadia, a cui avevo accennato qualcosa per pura esasperazione, si era dimostrata più comprensiva, più vicina. Le sue reazioni, genuine e premurose, mi facevano sentire visto, compreso. Incredibile, davvero assurdo, che l'unica donna con cui iniziavo a sentirmi a mio agio fosse proprio lei.

Nei giorni successivi, la situazione con Eliana non fece che peggiorare. La tensione tra noi era un peso costante che gravava su ogni interazione. Nessuno dei due osava menzionare il mio passato, come se parlarne potesse far crollare quel fragile equilibrio che ancora ci teneva uniti.

Mi evitava con cura, e a letto la sua freddezza era diventata insostenibile. Ogni gesto, ogni tocco, sembrava forzato, privo di quella connessione che ci aveva legati una volta. La sua distanza era così evidente che, alla fine, avevo smesso di cercare qualsiasi intimità. Il sesso, un tempo rifugio e conforto, si era trasformato in una tortura arida, priva di passione e, forse, persino di affetto.

Quella sera, mentre ero in cucina, i pensieri mi travolsero. Sbattei la fronte contro l'anta del mobile, frustrato, forse nel tentativo inconscio di autopunirmi per ciò che mi passava per la testa. Mi chiedevo come sarebbe stato se quella passione che avevo vissuto con Nadia fosse esplosa nel mio ufficio. L'attrazione per lei era forte, passionale, ma allo stesso tempo dolce, capace di lasciare presagire qualcosa di indimenticabile. Il ricordo continuava a tornare. E mentre mi rimproveravo per questo, non potevo fare a meno di chiedermi come sarebbe stato lasciarsi andare completamente a quel desiderio.

I pensieri vagavano, mentre riordinavo la cucina dopo una cena breve e solitaria. Mi muovevo in modo meccanico, riponendo i piatti puliti, cercando di non lasciarmi sopraffare dalla solitudine che sembrava ormai parte di me. Intanto, Eliana si stava preparando per uscire. Il rumore costante del phon proveniente dal bagno aveva fatto da colonna sonora al mio lugubre pasto.

Ma il frastuono si era spento già da un pezzo quando apparve in cucina, ormai pronta ad andare. Non mi degnò di uno sguardo, come fossi un oggetto di quella stanza. Era concentrata su se stessa, sfiorando con le dita la borsa e le chiavi, assicurandosi di non aver dimenticato nulla. Il suo distacco era ostentato, e quel gesto distratto di controllo sembrava un modo per evitare qualsiasi contatto, anche visivo.

Non potei fare a meno di guardarla, e pensai che fosse bellissima. I suoi capelli, stirati con cura, cadevano lisci sulle spalle, brillando alla luce tenue della cucina. Indossava uno di quei vestiti aderenti che chiamava tubini, il tessuto avvolgeva il suo corpo, esaltando ogni curva. La sua bellezza, che un tempo mi faceva sentire fortunato e pieno di desiderio, ora era solo un doloroso promemoria di ciò che stavamo perdendo.

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