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Quando entrai in casa, mi accorsi che mia madre stava ancora parlando al vivavoce con la sua amica Amelia

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Quando entrai in casa, mi accorsi che mia madre stava ancora parlando al vivavoce con la sua amica Amelia. La sentivo strillare dalla camera da letto, e non perché stessero litigando: stavano scegliendo il tipo di abbigliamento da mettere in valigia, e lei faceva parte di quella generazione convinta che per farsi ascoltare bisognasse urlare.

"Due maglioni sono troppi! Lo so che saremo poco più a sud della nostra stessa regione, ma ad Agrigento farà caldissimo, te lo dico io! Dobbiamo vestirci a strati"

"Mamma, sono io!" Esclamai, dopo avere sbattuto la porta. Era un'importante precisazione da fare, perché non vivevo più con lei da circa un anno.

Naturalmente, mia madre si fidava di me e mi aveva concesso l'uso illimitato delle chiavi di casa; sebbene me ne servissi soltanto quando ero sicura di trovarla da sola, ogni tanto mi capitavano delle situazioni imbarazzanti, perché mia madre non era dotata di grande intuito e poteva benissimo scambiarmi per suo marito e farsi trovare in topless.

Non era stato divertente la prima volta che era successo, quando ero entrata senza avvisare, la seconda era stata anche peggio, e alla fine avevo giurato a me stessa di strapparmi gli occhi prima di lasciarne capitare una terza.

"È arrivata mia figlia!" La sentii dire felice ad Amelia. La sua collega gracchiò qualcosa e mia madre tornò a urlare: "Nadiaaa, ti saluta Amelia!"

La scuola media in cui insegnava mia madre aveva deciso di portare i ragazzi delle terze classi a vedere le antichità di Agrigento, Segesta e Selinunte, e aveva scelto come accompagnatrici le professoresse di Italiano e di Inglese, quindi Amelia e mia madre.

Caratterialmente, lei era come me: amava più le spiagge e le belle scarpe che i luoghi di cultura, soprattutto se sorgevano su terreni fangosi e impervi; però andava molto d'accordo coi suoi colleghi e non vedeva l'ora di uscire con Amelia, non appena i ragazzini fossero tornati in hotel.

Attraversai il breve corridoio fino alla camera da letto, che era la stanza più spaziosa tra tutte, quella che un tempo, quando suo marito ci viveva da solo, era stato il salotto. Mia madre aveva sempre amato i grandi spazi, e al momento di ristrutturare aveva espresso il desiderio di svegliarsi in un ambiente arioso e, a suo dire, principesco.

Dario, suo marito, l'aveva accontentata e aveva fatto dipingere il muro di una filigrana dorata che brillava al limite dell'invasivo ogni volta che si accendevano le luci, o solo lasciando entrare i raggi del sole. Ero abbastanza sicura che lui li odiasse, e di questo ne gioivo segretamente.

Le ante dell'armadio in oro opaco erano spalancate. Una grande valigia rossa giaceva al centro della stanza, piena di top smanicati e felpe leopardate. Mia madre indossava una tuta aderente e una maglia larga; i capelli castani erano ancora umidi e odoravano di pulito, raccolti in una coda di cavallo, mentre l'iPhone col vivavoce acceso penzolava dal collo come una strana collana, tramite un filo di nylon.

Mi avvicinai per provare a dare ordine a quell'ammasso informe di indumenti ammucchiati uno sull'altro, ma lei si interruppe e si pose davanti a me:

"Aspetta un momento, Amelia. Nadia, perché non vai di là a guardare Netflix, intanto che io finisco?" Aveva un'espressione seria, di quelle che raramente avevo visto su di una persona solare come lei.

"Ma mi hai chiamata tu. Non dovevo aiutarti con la valigia?" Domandai perplessa.

"No, c'è dell'altro di cui ti voglio parlare..." Ma non mi diede altre spiegazioni, perché Amelia iniziò a sentirsi di troppo e lei dovette rassicurarla riportando il discorso sulla movida.

Sbuffai sonoramente e, facendo in modo che si accorgesse del mio disappunto, mi trascinai in salotto. Mi infastidiva che ci fossero dei segreti, ma anche il fatto di dover restare in quella casa per più tempo del previsto. Odiavo quel posto. Scappare dalla convivenza col marito di mia madre era stato uno dei motivi per cui avevo deciso di vivere per conto mio subito dopo il diploma.

Mentre prendevo possesso del salotto in cui c'era la TV più grande e il divano più comodo, ripensai al fatto di starmi aggirando nello stesso ambiente in cui Dario aveva vissuto prima che noi entrassimo nella sua vita. Potevo sentire il suo odore in ogni stanza e, come tutte le volte, non lo sopportavo.

Mi gettai sull'isola e distesi le gambe senza nemmeno sfilare le Converse. Dario l'avrebbe odiato. Quando mi allungai verso il centro per recuperare il telecomando, mi assicurai di lasciare un'impronta sulla stoffa blu.

Feci partire l'ultimo episodio della mia serie preferita. Avevo iniziato a vederlo proprio la sera prima insieme al mio ragazzo, ma era stato impossibile arrivare alla fine. Stefano aveva infatti deciso di rollare una nuova qualità che gli era stata venduta come "esplosiva" e che lo era davvero. L'erba mi aveva stesa dopo un quarto d'ora dal primo tiro, io che di solito non avevo problemi ad andare avanti per tutta la notte.

Tuttavia, non riuscivo a seguire l'episodio neanche adesso che avevo i polmoni ripuliti. Chiedendomi cosa mia madre dovesse dirmi di così serio, fissai dapprima le mie calze a rete color carne, molto fitte, che adoravo indossare insieme alle scarpe da tennis perché mi facevano sentire sensuale e al tempo stesso sbarazzina. Poi lo sguardo viaggiò sui quadri appesi alle pareti: erano poster scattati durante il matrimonio, in cui mia madre sorrideva raggiante e ben truccata dentro al suo abito bianco a sirena, e dove quel povero sfigato di Dario, vestito di una strana tonalità di blu, sforzava la sua migliore smorfia, da alcuni chiamata sorriso. Era talmente un nerd, in animo suo, che non si era tolto gli occhiali nemmeno nel giorno del suo matrimonio.

Avevo diciotto anni quando quei due avevano firmato in comune il fatidico sì, e siccome il sarcasmo non mi era mai mancato ero riuscita a trasformare un giorno di sventura in uno dei più divertenti della mia vita. Tra Stefano che imitava la camminata goffa e ingobbita dello sposo e mio padre che commentava via WhatsApp le foto che gli inviavo, ero tornata a casa che mi sembrava di essere stata a una serata di stand-up comedy.

 Tra Stefano che imitava la camminata goffa e ingobbita dello sposo e mio padre che commentava via WhatsApp le foto che gli inviavo, ero tornata a casa che mi sembrava di essere stata a una serata di stand-up comedy

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