Nadia ha 21 anni e nessun obiettivo: non ha più interesse per gli studi di Lettere e il suo futuro è un'incognita. Quando realizza di provare un'attrazione proibita per Dario, il suo patrigno di 36 anni, un affascinante professore di Fisica, il suo...
Non sapevo che avrei scritto questo capitolo tutto oggi, ma ero a casa col raffreddore e non ho avuto molto altro da fare, a parte scrivere. Non sto facendo altro che rileggerlo, e mi piace. Mi sa che è pronto. Eccolo qui, dopo un solo giorno dall'altro 🥲
Dario sta per raccontarci la sua storia: vi avviso che ci saranno un sacco di stereotipi, di cui parleremo al solo scopo di dare un senso alla trama. Che nessuno se la prenda a male, per favore! Si fa per giocare, non certo per prendere di mira qualcuno 🥹
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Mi portò a casa sua in gran fretta. Dario era al volante. Mi ero offerta di guidare al posto suo, ma lui, con uno sguardo distratto e un sorriso di circostanza, aveva declinato, dicendo che per quella sera aveva già sofferto abbastanza.
Ancora scosso, guidava con gli occhi fissi sulla strada e la mente visibilmente altrove. "Quando è uscita di casa, l'ho seguita." Iniziò a raccontare, la voce sottile e carica di rabbia trattenuta. "Aveva detto di andare a una cena con la classe, ma non le credevo. Ho parcheggiato e l'ho vista entrare in pizzeria con Amelia e i ragazzini; era tutto tranquillo, ma sentivo che dovevo restare. Quando hanno finito, l'ho vista salutare tutti e girare l'angolo, ma non verso la macchina. Poco dopo, è tornata indietro, e non era più sola: c'era quel ragazzo con lei. Sembravano molto in confidenza. Li ho seguiti fino al pub... e il resto lo sai."
"Mi dispiace, Dario, davvero." Gli dissi. Quando toccai la mano che era sul cambio, i suoi occhi tristi si addolcirono per un istante. Non sapevo cos'altro fare per alleviare il suo dolore, che mi sembrava tanto ingiusto, e glielo dissi.
"Stai già facendo tanto." Rispose, con un accenno di gratitudine nella voce.
Non si calmò quando tornò a casa, anzi, proprio lì la sua rabbia esplose con una forza devastante. Entrò come un uragano, mettendo a soqquadro ogni cosa. Le prime vittime furono le cornici con le loro foto: una appesa in salotto, l'altra in corridoio. Le prese una alla volta, le staccò dal chiodo e le sbatté per terra. Le schegge volarono ovunque e continuammo a calpestarle per ore. Una volta frantumate le cornici, Dario completò il lavoro strappando le foto, una per una, in pezzi minuscoli, davanti alla pattumiera.
Ci furono armadi spalancati, cassetti rovesciati, vestiti strappati dalle grucce e gettati a terra. Sembrava che nulla potesse sfuggire alla sua foga vendicativa. Alcuni oggetti furono ammassati in una valigia che riempiva con gesti frenetici e incontrollati. Ma presto si rese conto di quanto fosse assurdo: non sarebbe bastato nemmeno un camper per portare via in un solo viaggio tutta la roba di mia madre.
Cercavo di stare la calma, ma ero sconvolta e agitata quasi quanto lui. Lo seguivo come un'ombra, cercando di limitare i danni di quella furia devastante. Quando lo vedevo sul punto di rompere qualcosa, spostavo i soprammobili lontano dalla sua portata. Rimettevo a posto i cassetti, recuperavo da terra i trucchi e i gioielli che erano caduti, e li ammucchiavo da qualche parte per evitare di perderli o di inciamparci sopra.