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POV NADIA

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POV NADIA

Mi trovavo vicino alla porta dell'aula in cui si svolgeva l'esame. L'università era ospitata in un vecchio monastero, e quel corridoio in particolare sembrava imprigionare il calore, trasformandolo in una sauna in cui si respirava storia. Le mura, un tempo bianche e lucide, erano macchiate di sporco vicino ai battiscopa. Erano alte, imponenti, e facevano da cassa di risonanza alle voci degli studenti che, nervosi, riempivano l'ambiente con sussurri, risate forzate e l'occasionale scambio di appunti dell'ultimo minuto.

L'odore di sudore si mescolava a quello polveroso dei banchi e dei libri consunti, mentre i corpi erano ammassati l'uno contro l'altro, creando una calca opprimente. Ogni tanto, qualcuno agitava un ventaglio improvvisato – una pagina di appunti o una cartellina – nel tentativo di scacciare la morsa del caldo soffocante di fine giugno, ma l'aria si muoveva appena. Il respiro collettivo rendeva l'ambiente ancora più soffocante, e le finestre enormi e serrate del corridoio non lasciavano passare abbastanza aria per portare sollievo.

Fissavo la porta socchiusa dell'aula, dove ogni tanto vedevo uscire una studentessa stremata, e il mio cuore batteva più forte. Le labbra erano screpolate, il corpo in tensione. Il tempo scorreva lento, sapendo che il mio nome fosse ancora in fondo alla lista. Avrei aspettato per ore, a quanto pareva, e l'idea di essere tra gli ultimi mi faceva sentire ancora più nervosa.

Cercai di carpire delle informazioni dai colleghi, origliando ogni parola che potesse suggerire quale fosse l'argomento più gettonato o la domanda a trabocchetto. L'eco delle voci rimbalzava sulle pareti di pietra, rendendo difficile distinguere i dettagli. Alcuni studenti parlavano con voce concitata di figure retoriche a me sconosciute. Altri, citavano autori e concetti che non avevo ripassato abbastanza, e un nuovo strato di ansia mi saliva allo stomaco.

Avevo capito già da tempo che avere per fidanzato un professore universitario non mi sarebbe servito a nulla. Dario non mi avrebbe raccomandato a nessuno. Era troppo corretto per farlo, inoltre non conosceva gli insegnanti di Lettere. In ogni caso, lui non era lì, e non sarebbe tornato tanto presto. Doveva mancare solo pochi giorni, invece la sua assenza si sarebbe protratta ancora.

"I miei vecchi professori mi hanno proposto di partecipare ai loro studi, qui a Reggio." Mi aveva detto durante una delle poche volte in cui si era degnato di chiamarmi di sua iniziativa. "Potrebbe nascere una collaborazione con Catania. Devo assolutamente approfittarne mentre sono qui per dare una mano a Vasil. Queste cose di solito portano a delle pubblicazioni importanti."

"Ti ricordi cosa succede tra poco?" Gli avevo chiesto, interrompendolo, portando il discorso su ciò che mi interessava di più. Sapevo che, sotto la mia domanda apparentemente tranquilla, trasparisse tutta la mia ostilità.

"Sì, hai l'esame." Mi rispose, con un sospiro, come a ricordarsi di portare pazienza. "Sei pronta?"

"L'esame?" Avevo ripetuto. "Ne sei sicuro?"

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