Napoli, 1821. Nel ventre della città, sotto la superficie, si nasconde un'Accademia che forma streghe e guerrieri da sempre impegnati nella faida contro i seguaci del culto micaelico.
Azaria, una giovane di salute cagionevole, cresciuta in una famig...
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Hermelinda mi accolse con un sorriso speranzoso la mattina successiva. I miei continui fallimenti degli ultimi giorni non mi erano stati fatti pesare in alcun modo ma era chiaro quanto le due donne fossero preoccupate per la mia improvvisa regressione.
Aurona mi salutò, chinando appena il capo ma preferì rimanere in disparte, permettendo all'altra strega di gestire la lezione odierna come meglio credeva.
Io misi piede nell'aula con una consapevolezza diversa rispetto a quella delle giornate precedenti. La conversazione serale con Arechi mi aveva convinta a darmi una nuova possibilità. Avevo sbagliato a chiudermi in me stessa e a non condividere i pensieri e le paure con chi mi circondava. Ero lì, quel giorno, con la determinazione di non aver paura né di me stessa né del fuoco che custodivo.
Arechi, come ogni giorno, avanzava alle mie spalle.
"Oggi ti senti più carica?" Hermelinda tenne gli occhi fissi solo su di me.
"Voglio provare a colpire il bersaglio."
La fermezza con cui pronunciai quelle poche parole la sorprese positivamente e le sopracciglia si inarcarono verso l'alto mentre mi osservava raggiungere la solita postazione.
Avevo già lo sguardo fisso sul manichino di paglia e cercai sin da subito di scacciare ogni pensiero negativo che potesse frenarmi dal richiamare il mio fuoco. Questa volta avrei dato tutta me stessa. Sentivo l'innato bisogno di far fuoriuscire il mio potere, di dargli sfogo e permettere anche a me stessa di liberarmi, una volta per tutte, di tutta la tensione che mi stava opprimendo il petto.
Hermelinda sistemò meglio il manichino a diversi metri da me e poi si distanziò.
"Prenditi tutto il tempo che ti serve, Azaria." disse con la solita dolcezza. "Non c'è nessuna fretta, lo sai."
Non mi voltai a guardare il viso della donna, rimasi concentrata sull'obiettivo e sulla respirazione. Era l'unico modo che avevo per rimanere presente a me stessa e per richiamare il potere senza che le immagini dolorose di quella sera tornassero a bloccarmi.
Mi limitai ad annuire alla professoressa con un veloce cenno del capo e nessuna parola.
Sentivo il fuoco, al centro del petto, come una tenue fiammella che non desiderava altro che essere sprigionata. Avevo tanto potere accumulato, riuscivo a percepirlo, e capii quanto fosse assurda la mia decisione.
Non c'era nulla di sbagliato in me. Questo dovevo continuare a ripetermi.
Il sorriso di quella notte non era un gesto di rivalsa su Silvia, ma su me stessa. Era servito a mostrarmi di cosa il sigillo, la mia famiglia e i micaelici, mi avevano privata. Volevo bruciare.
Eppure. Eppure non ci riuscivo.
Aggrottai le sopracciglia e deglutii. Sentii su di me gli occhi di tutti i presenti e, soprattutto, le loro aspettative. Venni meno alla promessa che avevo fatto a me stessa e abbassai le spalle in un gesto di rassegnazione.