Capitolo 10

1.7K 62 22
                                    

Canzoni del capitolo: 

- Burning Brindles -  Bea Miller 

- Mad Word - Michael Andrews ( Feat  Gary Jules)

 Veniamo svegliate all'alba dalle kapò. Con i loro manganelli che battono ininterrottamente sulle assi di legno. Ormai è una settimana che siamo qui.

Le kapò sono guardie, al servizio delle SS. Ed hanno il compito di impartire ordini sull'intero blocco.

Nel nostro caso, i Kapò sono donne. I primi giorni sono stati duri. Il campo aveva molte regole e chi le infrangeva, la pena era la morte.

A spiegarci le regole, il primo giorno, è stato un ufficiale. Da quello che ho sentito era il comandante del campo.

Molte sostengono che sia un uomo affascinante con i suoi occhi azzurri, e i capelli mori quasi brizzolati per via dell'età. Come si può pensare ad una cosa simile? È vergognoso. Per me è un uomo meschino e crudele.

Ma quello è stato solo il primo giorno, in cui ho dovuto imparare che; quando incontri una SS, ufficiale o guardia che sia, dovevi stargli alla larga.

Io e le mie compagne, siamo state inviate ai lavori forzati. Precisamente in una miniera. Dalla mattina fino alla sera. Ogni giorno estraiamo la ghiaia e i minerali. Per me e mia sorella, non c'è stato alcun problema ma mia madre, come poteva farcela?

Al mattino, ci toccava l'appello. Poteva durare anche quattro ore. Poi si andava direttamente al lavoro. Alcune di noi, periscono nella notte, altre durante l'appello. Non ci danno da mangiare. Solamente una misera porzione a tarda sera. Una brodaglia con bucce di patate. E se sei fortunato, potevi trovare un pezzo di carne nella razione.

Nel campo vige il baratto. Potevi scambiare un pacchetto di sigarette con del pane e viceversa.

Dobbiamo stare attente, anche mentre dormivamo. Nella notte, c'è il rischio che qualcuno ti rubi gli stivali da lavoro, i calzettoni, persino la gavetta. Il campo è come una giungla. Vince il più forte e il debole perisce. Devi essere furbo e scaltro e avere fede. Soprattutto la fede e la speranza. O saresti finito come i "mussulmani". Uomini o donne che hanno perso la voglia di vivere e diventano tutto e per tutto dei vegetali.

Dopo il tanto agognato appello, ci dirigiamo alla cava. Arrivati, entriamo dentro il tunnel. Qui dentro si muore di freddo, ma il movimento agevola le cose.

Ci divisero in gruppi: uno estraeva i minerali dalla parete, l'altro li portava fuori, tramite dei vagoncini, tramite le rotaie.

Io, Sarah, Lèa e Rachel, siamo nel secondo gruppo. Tutte insieme iniziamo a spingere il vagoncino. È pesantissimo. Impossibile da trasportare. E non siamo molto in forze. I muscoli delle braccia bruciano dal dolore, il sudore inizia a colarmi dalla fronte. Non sono abituata a svolgere lavori del genere. Ma dobbiamo farcela, se non vogliamo essere frustate o peggio uccise.

Finito il primo trasporto, ne susseguirono altri e altri ancora. Non so da quanto siamo richiuse qui, in questo tunnel si perde la cognizione del tempo

« Schnell! Schnell! » urla una guardia delle SS.

Il mio corpo inizia a non farcela più. Adesso sento il dolore anche sulle gambe. Non posso fermarmi.

Vicino a me, sento Lèa che respirava a fondo:

« Non ce la faccio più. Sono esausta... » mormora .

« Lèa, non osare fermarti! » esclama, Rachel, prontamente.

Ormai tutte siamo allo stremo delle forze. Cerco di non pensare alla fatica. Peggiora solo la situazione. Alzo lo sguardo e vedo una luce. Siamo quasi arrivate alla fine del tunnel.

Sapevo che dopo ci sarebbero stati altri vagoncini da trasportare, ma sono felice che siamo giunte alla fine. Abbasso lo sguardo e continuo a spingere.

Desidero solo che questa giornata passi in fretta.

***

Torniamo nella baracca a tarda sera. Sono seduta fuori, mentre le altre prendono la loro porzione di zuppa. In mano ho la mia gavetta.

Zuppa... se così si può definire. Oggi niente bucce di patate. Solo rape. Non amo le rape. Ma ho fame e quando hai tanta fame, mangeresti anche la cosa più disgustosa.

Sono dimagrita di qualche chilo. Per fortuna che non ci sono specchi su cui riflettersi.

Non avrei avuto il coraggio di guardarmi. Se lo farei, non mi riconoscerei. So di essere orribile: quasi scheletrica e i capelli... ad ogni ragazza piace specchiarsi e vedere il suo riflesso. Mi ricordo, quando mi svegliavo la mattina avevo un cespuglio in testa. I miei capelli ricci assomigliavano ad una cresta di un leone. Mi mancano molto. Meglio non pensarci.

Finita la mia porzione, porzione torno dentro. Mi sdraio vicino a mia madre, in fondo alla cuccetta. La sera si muore di freddo. Da una parte è un bene dividere la cuccetta con altre dieci donne, almeno ci facciamo calore a vicenda. Una specie di coperta umana.

Vedo Rachel e le altre rientrare. Capita che la notte le senta piangere dalla fame. mi avvicino a loro.

« Io ho ancora fame » mormora, Lèa, con un filo di voce.

« Qui tutte abbiamo fame, Lèa » borbottò, Rachel.

« Non pensarci, se ci pensi troppo è peggio » dico,sorridendole. Voglio dare un po' di conforto. « Invece, prova a chiudere gli occhi e immagina di essere in un altro posto. Ti farà sentire, molto meglio. Io faccio così. Penso anche a qualcosa da mangiare. Ieri, presepio, ho mangiato una fetta di torta al cioccolato ed era buonissima » aggiungo, alzando lo sguardo in sù, ad occhi chiusi e mettendo le mani a mo' di preghiera.

« Miriam, smettila! Ti lasci condizionare troppo dalla fantasia. Non rendendoti conto in che razza di posto ci troviamo. Continua così e finirai molto male. » esclama, Sarah. È molto arrabbiata e non ne capisco il motivo.

« Almeno ho qualcosa su cui aggrapparmi e sperare. E ringrazio il cielo di avere una fantasia così spigliata. Se avrete ancora questo atteggiamento, finirete come i Mussulmani. Io... credo ancora in qualcosa e penso che non ci sia niente di male in questo. »

« Sei solo una bambina. C'è una speranza? Allora dov'è? Ma ti rendi conto di dove siamo, o no?! Tu immagini, pensi, giochi con la fantasia. Ritorna nella realtà! »

Sento gli occhi lucidi. Perché mi parla in questo modo?

« Ma... io... volevo... solo... »

« Sarah, basta così. Hai già detto abbastanza » interviene, mia madre che la mette a tacere con un'occhiata decisa. « Ci manca solo che ci mettiamo a discutere tra di noi. »

Rimango incredula. Sarah non si è mai comportata così, nei miei confronti. È proprio vero, dunque. Questo posto ti cambia dentro e fuori.

Ormai le discussioni sono all'ordine del giorno. Ma queste sono sciocchezze, in confronto ad altre.

Molto spesso si viene alle mani. Anche solo per contendersi un pezzettino di pane. Se riesci a tenerlo nascosto, devi dormire con un occhio semi – aperto, per non fartelo rubare.

E pensare che queste donne, prima di venire qui, sono state delle signore a modo, madri, mogli e lavoratrici. Adesso non lo sono più. Si comportano come se fossero delle animali. È vergognoso.

La situazione sembra calmarsi, mi addormento vicino a mia madre. Per la stanchezza non riesco neanche più a sognare.

Breath Of Life| Louis Tomlinson Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora