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Aymor
«So quello che stai provando.» Non mi voltai per guardarlo. Avevo riconosciuto la sua voce e ancora prima il potere demoniaco che lo contraddistingueva.

«Ne dubito» risposi acida volgendo lo sguardo alle stelle.

«Ero ancora un demone giovane» disse Damien senza nessuna inclinazione particolare nella voce. «Mio fratello era occupato a stringere un'alleanza fuori dai nostri confini. Io stavo imparando a usare l'arco da autodidatta, mi allenavo sempre quando tornavo a casa per le vacanze dall'accademia. Scoccai una freccia diretta verso il bersaglio mobile e invece di conficcarsi nel centro fu bloccata dalla mano di mio padre, che in quel momento si era appena materializzato sotto i miei occhi. Mi sorrise e senza perdere tempo mi ordinò di prendere una spada. Non lo feci attendere, è un demone con una pazienza così fragile che si spezza molto spesso. Lui mi metteva sempre alla prova. Gli piaceva testare le mie capacità ogni volta che tornavo dall'addestramento in accademia. Quella volta però fu diverso...» Mi voltai per guardarlo. Il suo viso era imperturbabile ma c'era qualcos'altro che non riuscii ad afferrare. Poi le sue labbra perfettamente simmetriche si schiusero e ricominciò a raccontare. 

«Quella volta mentre paravo un attacco inciampai sulla mia stessa ala e caddi rovinosamente a terra. Mio padre non si fermò e tentò un affondo. Io rotolai di lato. Pensavo di essere riuscito a schivare la lama, ma una fitta dolorosissima s'espanse per tutta la schiena. Avevo dimenticato di ritrarre le ali mentre mi scansavo. Mai mi pentii tanto di un mio sbaglio in combattimento. Mio padre mi guardò con disprezzo aspettò che la ferita si rimarginasse. Mi tese la mano per aiutarmi a rialzarmi. Quando fui in piedi tentacoli di tenebra ancorati al terreno mi bloccarono gambe e braccia. Ero immobilizzato. La paura e il rispetto che nutrivo nei confronti di mio padre m'impedirono qualsiasi mossa, mentre lui con molta calma e con una lama poco affilata riduceva a brandelli le mie ali. Passarono quattro albe demoniache e io ero ancora in preda a quella tortura angelica. Non si fermò fino a quando tutto ciò che avevo ancorato alla schiena non ricoprii il terreno della famiglia Dam.»

«Dovrei commuovermi?» chiesi indifferente tornando a guardare l'apoteosi dell'urbanizzazione. 

Damien rise. «Pensi che abbia perso questi minuti della mia vita demoniaca per farti pieta?»

«Così sembrerebbe» dissi alzando le spalle continuando a evitare il contatto visivo. Sentii dei passi impercettibili che s'avvicinavano di fianco a me. 

Tra noi si gettò un silenzio estremamente piacevole. Solo l'eco di una sirena era udibile in lontananza e ruppe il rumore dei nostri pensieri. Questo bastò a distrarmi.

Damien fu più veloce della tenebra con una spinta mi gettò giù dalla charu.

L'aria mi sferzò il viso accogliendomi in un abbraccio ricco di adrenalina. La sensazione di precipitare nel vuoto sotto di me era così piacevole da farmi dimenticare che non avevo le ali per fermare un rovinoso schianto al suolo. Non urlai piuttosto scoppiai in una fragorosa risata di felicità. Superai come un missile le finestre più alte del grattacielo e senza rendermene conto ero già a metà dell'imponente edificio. 

Mi sentivo libera, leggera, veloce e finalmente felice. Aria quanto mi eri mancata... cadere nel vuoto e poi arrestare all'ultimo momento l'impatto era il mio unico e più grande svago nelle terre demoniache. 

Peccato che lì potevo fermare la caduta ma adesso sulla mia schiena non c'erano le mie belle ali a salvarmi. Il suolo s'avvicinava sempre di più e la paura non accennava ad arrivare, l'immensa felicità che provavo la schiacciava come un vecchio mozzicone di sigaretta sgretolandone anche il filtro. 

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