Capitolo 24 Ho ucciso il mio migliore amico

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La giornata trascorre piuttosto velocemente, il programma di oggi consisteva nel visitare il Buckingham Palace, Westminster, Trafalgar Square e i posti più interessanti e suggestivi della città.

Per tutta la giornata non ho potuto non notare l'umore di Benson, sempre più malinconico. Vorrei potergli tirare su il morale ma so che l'unica cosa che gli servirebbe non gliela posso dare, perché come odio ammettere, io amo suo fratello, anche se sono decisa a dimenticarlo.

Con la coda dell'occhio noto una ragazza bionda seduta al tavolo di fronte a noi che ci fissa, o meglio fissa Ben. E' molto carina, ha un viso dolce, con i classici lineamenti da brava ragazza, indossa un vestitino in lana e delle calze pesanti, nulla è messo in mostra, potrebbe andare bene per lui. Mi rendo conto che ora la sto squadrando dall'alto al basso. All'improvviso mi viene un'idea.

"Ben, quella ragazza ti sta divorando con gli occhi" gli dico con lo sguardo da furbetta.

"E quindi?" risponde lui confuso "me ne sono accorto, ora gli dico di smetterla".

"No!" urlo involontariamente "Ehm" mi schiarisco la voce "voglio dire.. e' molto carina perché non le vai a parlare?"

"No ma cosa stai dicendo? Sono qui con te" dice titubante, so che in fondo la trova carina anche lui.

"Ti sbagli, tra meno di un minuto sarai da solo perché io sto andando a dormire" gli dico alzandomi dalla sedia.

"Di già? sono solo le 9!" si lamenta.

"Si" fingo uno sbadiglio "sono distrutta, buonanotte" gli dico dandogli un bacio sulla guancia. Poi prima di andarmene gli sussurro "va da lei!" 

Mi nascondo dietro a una colonna e lo osservo, finalmente tutto va secondo i miei piani e Ben prende coraggio. Si alza, va da lei e le dice qualcosa, entrambi sorridono.

Chiamatemi cupido. Dico tra me e me sorridendo.

.....

Sono le 10 del mattino e di Ben ancora nessuna notizia. Sono scesa alle 8 a fare colazione e poi alle 9, 9.15, 9.30, ancora nulla. 

Probabilmente ha passato una lunga nottata con la bionda suppongo. Decido di aspettare.

Sono le 12 e ancora nulla, decido che la soluzione migliore è quella di andare a bussare alla sua porta.

"Benson, ci sei?" non risponde, silenzio, ora sono davvero preoccupata. Busso ancora, e ancora fino a quando a forza di bussare le nocche dalla mano non mi diventano rosse. Impaurita e preoccupata scendo di corsa le scale e arrivo alla hall.

Imploro il receptionist di darmi la chiave, quando comincio a piangere intuisce che non si tratta di uno scherzo ma di una cosa molto seria.  Faccio le scale più velocemente possibile perchè l'ascensore è occupato, quando arrivo al piano non ho quasi più fiato.

Sono convinta che sia successo qualcosa di brutto. Ben mi avrebbe sicuramente avvisata se fosse rimasto fuori la notte.

Apro la porta con la mano tremante, non so cosa aspettarmi. Inizialmente non vedo niente, la stanza è in ordine, il letto fatto, ma proprio quando mi sto girando per andarmene sento un lamento.

Faccio velocemente il giro del della stanza e controllo dietro al letto, lui è li, steso prono, immobile.

"Oh mio dio Benson cosa è successo?" gli dico già con le guancia bagnate mentre cerco di girarlo.

"Resta sveglio!" gli dico accarezzandogli la guancia e adagiando la sua testa alle mie ginocchia.

Sfilo il cellulare dalla tasca e chiamo il 911, mentre sto componendo il numero Benson prova comunicarmi qualcosa. 

"Ho preso una.." 

"Cosa Ben? Riprovaci dai" 

"Pasticca"

"Non capisco Ben" dico mentre parlo con il medico dall'altra parte della cornetta. Poi capisco.

"Oh no, ha preso una pasticca!" urlo al telefono.

Il medico mi da qualche istruzione da eseguire mentre aspettiamo l'arrivo dell'ambulanza.

Forza Amanda, ricorda cosa ti ha detto. Mi dico tra me e me. Comincio a elencare le cose da fare ad alta voce.

E' necessario restare sempre vicino alla persona che sta male. Lo  muovo delicatamente, devo cercare di tenerlo sveglio a tutti i costi, provo a pizzicargli la guancia e gli parlo in modo affettuoso come mi è stato detto di fare. Noto che si sta lievemente riprendendo.

"Acqua" mi chiede. Ma il medico ha detto "se si riprende, non dargli né da mangiare né da bere" e così faccio. Purtroppo perde i sensi, lo adagio su un fianco, "in posizione di sicurezza", come ha detto lui: lo faccio sdraiare con una gamba estesa e l'altra piegata, in modo che non rotoli.

"Non spostarlo dalla posizione di sicurezza fino a quando non arrivano i soccorsi" è stata l'ultima regola dettatami, e così faccio. Per tutto il tempo non faccio altro che piangere e accarezzargli il viso, è tutta colpa mia. E' stato l'unico a capirmi, a starmi vicino e io l'ho abbandonato.

Passano non più di 10 minuti ma mi sembrano un'eternità. L'unica cosa che mi separa da un attacco di panico è il fatto che lo sento respirare e questo, anche se poco, mi rassicura molto.

Convinco i medici a farmi salire sull'ambulanza con Ben, per fortuna uno di loro parla italiano e mi spiega passo passo quello che stanno facendo. Non so se questo è un bene o un male perché le parole che sento mi terrorizzano "aumento della frequenza cardiaca e respiratoria,  ipertensione, sudorazione eccessiva, ipertermia, pupille dilatate".

Sono tutti intorno a lui, non riesco a vedere nulla, non riesco a scorgere il suo bellissimo viso, così simile a quello di Thomas.

THOMAS. Devo avvertirlo. 

Lo chiamo ma non risponde, il telefono è staccato. Chiedo al medico italiano se nelle tasche di Ben c'è il suo cellulare in modo da chiamare il padre ma la risposta è negativa. Decido di riprovare più tardi e per la prima volta in vita mia comincio a pregare.

Arriviamo in ospedale e io scendo per prima, dopo di me tirano giù la barella con Benson, che sembra così pallido. Li seguo mentre corrono lungo quei lunghissimi corridoi che avevo visto solo nei film come Grey's Anatomy o ER, spero che ci sia un medico bravo come quelli per curare Ben.

"Are you a relative of him?" mi domanda un'infermiera. So già cosa comporterà la mia risposta, non sono una sua parente e per questo motivo non mi permetteranno di entrare in sala con lui. 

"No, I'm his bestfriend , has only me here" gli dico con le lacrime agli occhi.

"Let me in" le dico con un filo di voce "please".

"I can't i'm sorry" dice prima di chiudere la porta alle sue spalle. Mi sporgo dagli oblò delle porte per vederlo, lo portano dentro un'altra stanza.

...

E' passata tutta la giornata e nonostante le mie richieste insistenti nessuno mi ha detto nulla. Ho passato molte ore a piangere ed altrettante al telefono con Carli.

Ho richiamato Thomas tante volte, ma non ha mai risposto.

"Amanda Valli?" noto che di fronte a me non c'è più il pavimento lucido e vuoto ma bensì i piedi di qualcuno. Alzo lentamente lo sguardo.

"Si?" domando al medico che mi trovo di fronte.

"Mi dispiace" comincia, ma il mio cuore per oggi ha sopportato abbastanza, svengo, convinta di aver ucciso il mio migliore amico.


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