Capitolo 2

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Non badai alle occhiate maliziose che mi lanciavano gli altri abitanti del Ponte fin quando non tentarono di uccidermi.
Mi trovavo nella foresta, da sola. Jimmy si trovava presumibilmente all’inizio del Ponte, con la fronte corrugata in un’espressione pensosa, mentre i suoi occhi vedevano ciò che lo circondava senza realmente osservarlo. Gli piaceva la tranquillità, gli attimi in cui, nella sua mente, il Ponte diventava teatro e il sipario calato non lasciava trasparire alcun segno di violenza o crudeltà.
Anch’io apprezzavo la dolce solitudine, assaporando il lieve chiarore filtrato dalle foglie degli alberi. In cuor mio, sapevo che quella tranquillità era solamente frutto di una fervida immaginazione. Quest’ultimo pensiero mi ricordò che, forse, non avrei dovuto lasciare Jimmy da solo. Ma, al momento, non mi importava. Volevo stare sola.
Mi riempii le mani dell'acqua gelida del ruscello e mi bagnai il viso, provando a trarre giovamento dai brividi che mi correvano lungo la schiena a causa del freddo.
Non lo davo a vedere in presenza degli altri, ma ero notevolmente turbata. La mia stessa decisione, per me, era fonte tristezza, che si aggiungeva ad altre sensazioni cupe echeggianti le parole e gli avvertimenti di Jimmy.
Sospirai, sollevando lo sguardo verso il cielo, dello stesso colore dell'Oblio. Sembrava di galleggiare nel vuoto, e forse era proprio così. Forse c’era qualcosa oltre quel colore sfumato che pareva senza fine…
 Mi persi in quell'infinito per svariati minuti, finché non provai un dolore atroce al collo. Mi ritrovai improvvisamente a terra, mentre le mie mani cercavano disperatamente un’arma con la quale potessi difendermi. Mi alzai, ma non ebbi il tempo di voltarmi. Sentii qualcosa che mi strattonava, per poi trovarmi un coltello premuto contro la gola e una mano pressata sulla bocca. Vidi i muscoli tesi del mio aggressore e ne intuii la forza, scaricata improvvisamente sul mio corpo.
- Zitta - mi sussurrò duramente il ragazzo. Non riconobbi la sua voce, ma immaginai che non potesse avere più di diciotto anni: sul Ponte eravamo tutti giovani, non potevamo sopravvivere a lungo, poiché o morivamo di stenti, o ci uccidevamo a vicenda.
Non c’era bisogno delle intimazioni dell’aggressore, che confidava nella mia obbedienza e, in modo particolare, sull’arma a sua disposizione. Mi aspettai di provare terrore, ma l’unica sensazione che dominava la mia mente era pura e semplice rassegnazione. Sapevo cosa sarebbe successo.
Il ragazzo ed io camminammo velocemente verso il bordo del Ponte: il mio aggressore allentò la presa sul mio corpo, spingendomi ad allontanarmi, in modo da potermi voltare. Come sospettavo, non era possibile averla vinta con uno come lui. La sua postura rigida, i lineamenti duri e pronunciati e il fisico muscoloso mi facevano tremare le gambe, ormai private di un supporto. Squadrai la persona che avrebbe compiuto il folle gesto, cercando di capire quanto tempo di vita mi rimanesse. Qualche minuto, pensai.
- Cosa state tentando di fare? - mi chiese brusco, piantandosi di fronte a me in modo da non lasciarmi vie di fuga.
- Cosa? - replicai stizzita.
- Tu e il moccioso, l'altro giorno. Vi abbiamo sentiti. Che volete fare, scappare?
- Non possiamo andarcene da qui. - tentai di non far tremare la voce. Che patetico tentativo di salvezza, pensai. Jimmy, al mio posto, avrebbe trovato sicuramente qualcosa di più intelligente da dire. L’arma più tagliente, dopotutto, è il cervello.
- Però si può raggiungere la fine del Ponte, e dubito che una come te non abbia intenzione di farlo.
“Una come me?”, riflettei. Cosa intendeva dire? Non ero diversa dagli altri, o, almeno, non lo ero apparentemente.
- Non mi conosci. - decisi di porre fine a quella debolezza, guardando lo sconosciuto con superiorità. Non risultò un’impresa particolarmente difficile, seppur il ragazzo non ne sembrò scalfito.
Avvicinò il suo viso al mio, alitandomi le parole in faccia: - Per questo non mi importa niente di te.
Non sono una persona particolarmente fortunata. A dieci anni mi ero ritrovata a fronteggiare un episodio analogo a quello che stavo vivendo ora, e non avevo ben chiaro il modo in cui riuscii a cavarmela. La fortuna è cieca, dicono, proprio come me, nel momento in cui la salvezza mi venne sbattuta in faccia. Infatti, mi aspettai di venire spinta giù da Ponte: il mio aggressore, dopotutto, si accingeva a farlo; ma qualcuno lo costrinse violentemente a terra. Un ragazzo dalla pelle olivastra troneggiava sull'altro, spingendolo verso il bordo del Ponte.
- Va' via, ragazzina. - mi intimò. - Sparisci, prima che cambi idea.
Mi ci volle qualche istante prima di comprendere le parole che mi venivano rivolte.
Poi corsi via, verso la foresta.
L'ultima cosa che sentii fu il grido agghiacciante del mio aggressore che veniva scaraventato giù dal Ponte.

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SPAZIO AUTRICE
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