Capitolo 10

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Fui tentata di seguire il ragazzo, ma poi ci ripensai: l'avrei solo infastidito, non avrei ottenuto niente. Mi sembrava una persona molto orgogliosa, e la sua potenza emanava un certo fascino. Probabilmente, lì nel Ponte le due Fiamme più conosciute erano Mara e colui che avevo appena incontrato. Chissà da quanto tempo erano qui... decenni. Ma ciò che era più spaventoso era il fatto che loro mi osservavano giorno e notte, mentre tentavo di proteggere Jimmy, mentre dormivo, mentre cadevo dall'albero per andare incontro alla morte. Magari, per loro era stato persino divertente vedermi precipitare.
Trattenni la rabbia, non volevo mostrarmi debole e irascibile. La lotta, dunque, non finiva dopo la morte: si continuava sempre a combattere strenuamente: una battaglia infinita senza un vincitore, ma solo con centinaia di vinti.
Accarezzai la testa di Jimmy. Non lo avevo ancora osservato a fondo, e non mi ero soffermata troppo sul fatto che fosse cambiato: i suoi lineamenti erano più duri; vicino all'orecchio, la pelle era schiarita da una profonda e lunga cicatrice. Quanto aveva combattuto dopo la mia morte, e con quale coraggio...
L'unica cosa da fare per raggiungere la sua mente era dormire. Non mi sarei mai aspettata di poterlo pensare: di notte si è vulnerabili, e non si può proteggere gli altri. Ma una volta morti, che cosa si può fare?
Mi accoccolai appoggiando la testa a pochi centimetri dalla sua, pregando in cuor mio di riuscire nel mio intento. Seppur sembrasse un compito semplice, ero certa che non lo fosse.
Ma nonostante ciò, riuscii ugualmente a catapultare la mia mente in un'altra dimensione, attraversando velocemente quei pochi centimetri che separavano me e il mio protetto. Il sogno di Jimmy era davvero spaventoso: il ragazzino si trovava davanti ad un albero, e tutto era avvolto da una nebbia scura. Jimmy tossiva, arrancando. - Amelia! - chiamò.
- Jimmy! - tentai di avvicinarmi a lui, ma mi accorsi di non riuscire a muovermi. Le mie gambe erano impantanate in una melma scura.
Sentii una voce, la mia stessa voce, che pareva disperata. - Jimmy! Sono qui!
Il mio amico urlò nuovamente il mio nome, iniziando a salire sull'albero. Dopo che fu a nemmeno un metro da terra, qualcosa cadde con un tonfo sordo, sollevando una notevole quantità di polvere. La nebbia si diradò lentamente, mentre Jimmy scendeva dall'albero, continuando a tossire.
Il ragazzo si trovò davanti ad un fosso profondo svariati metri che minacciava di inghiottirlo: Jimmy indietreggiò per sfuggire alla terra che franava sotto i suoi piedi rendendolo un semplice topolino in trappola.
- Amelia, dove sei? - domandò Jimmy.
Qualcosa gli toccò la spalla: il ragazzo si voltò, urlando con quanto fiato aveva in gola non appena vide la ragazza dal volto sfigurato e gli abiti stracciati, cosparsa di sangue, che zoppicava. Le sue ossa, già rotte, cedettero, e il corpo deturpato cadde sputando sangue.
Quella ragazza ero io.
Vedevo la scena da lontano, osservando l'altra me ai piedi di Jimmy.
Lentamente, il corpo della ragazza raggiunse il fosso. Il mio amico la osservò con gli occhi sbarrati, mentre l'altra Amelia gridò: - Sei stato cattivo! Sei stato un peso, per me, ed ecco cosa mi è successo! È colpa tua!
Jimmy tentò di dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì che un debole rantolio.
Non riuscivo a comunicare con lui, forse perché non credevo fosse possibile. Aveva ragione il ragazzo sconosciuto: bastava solo crederci. Era semplice, eppure impossibile. Non era sufficiente pensare: "Ci credo", non si poteva ingannare se stessi. Bisognava convincere la propria testa che fosse possibile.

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