Capitolo 3

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Ero talmente spaventata che la mia mente, prima offuscata da pensieri oscuri, ora era libera, sgombra.
Corsi per più di un'ora, ignorando il dolore che provavano le mie gambe. Volevo scappare, volevo porre a tutto una fine, ma sapevo che nemmeno la più ferrea forza di volontà sarebbe bastata a cambiare le cose.
Mentre correvo, qualcuno mi afferrò il braccio, costringendomi a rallentare. Mi voltai tremante, sperando che non fosse un altro aggressore il cui unico ruolo sul Ponte, ai miei occhi, era trovare un pretesto per uccidermi. Ma, fortunatamente, mi ero sbagliata: gli unici occhi che mi fissavano erano di un azzurro intenso… Erano di Jimmy. Aveva il viso arrossato per la corsa frenetica e le sue mani dalle dita sottili erano premute contro un fianco.
Non mi ero fermata per parlare con lui, bensì continuavo a camminare imperterrita. Il bambino, sebbene avesse dipinta in viso un’espressione sofferente, mi seguiva con determinazione. Mi posò entrambe le mani sulle spalle, poi mi intimò: - Ferma, Amelia!
Tremai e caddi in ginocchio, piangendo disperatamente. Sapevo di essere lunatica: spesso bastava una breve frase per sconvolgere il mio equilibrio interiore e indurre la mia vista ad annebbiarsi a causa delle lacrime. - Voglio andarmene da qui! - urlai, sentendo la mia stessa voce venire ripetuta sinistramente dall'eco della foresta.
Jimmy restò impietrito davanti a me per svariati minuti, durante i quale continuai a piangere senza contegno, coprendomi il viso con entrambe le mani.
Poi mi rialzai, guardandomi attorno circospetta. La mia improvvisa reazione e la totale assenza di tristezza nei miei occhi non impressionarono Jimmy, ormai abituato al mio umore cangiante.
- Perché mi hai seguita? - domandai al bambino mentre mi asciugavo il viso con il dorso della mano.
- Avevo paura - rispose Jimmy in un sussurro. Furono semplicemente quelle parole a farmi piegare come un sottile ramoscello scosso dal vento. Abbracciai il bambino con affetto, lasciando che le ultime lacrime mi rigassero il volto e cadessero sulla sua maglietta. Non volevo che mi vedesse piangere, non volevo che anche lui potesse essere accecato dalla debolezza; per cui rimasi con il viso nascosto sulla sua spalla finché non sentii di essere in grado di sostenere il suo sguardo. Ero abituata a piangere silenziosamente, senza farmi notare: lì nel Ponte poteva essere considerato un segno di debolezza, ed essere vulnerabili non era mai una buona cosa. Si rischiava di far risaltare la propria diversità, e, di norma, da quel momento alla fine della giornata il tuo corpo veniva trattato come un ammasso di rottami pronto per essere debellato.
- Dove siamo? - chiesi. Non mi ero mai spinta fino a quel punto della foresta. L’ignoto aveva un potere maggiore di quanto riuscissi ad ammettere; era in grado di cambiare la mia percezione del Ponte semplicemente osservando i particolari di quel vasto orizzonte che si svelava davanti ai miei occhi curiosi. Ne intuii la forza, e ne ebbi timore.
- Non lo so. Io ho seguito te - disse Jimmy.
Senza dare troppo peso alle mie perplessità, scrollai velocemente le spalle e sorrisi al bambino, cercando di incoraggiarlo a non avere paura. - Tranquillo, troveremo una soluzione. Cerchiamo di tornare indietro.
Posai una mano sulla spalla di Jimmy e lo invitai dolcemente a incamminarsi al mio fianco. Intuivo la sua paura dalla postura rigida che aveva assunto il suo corpo ossuto. La mia mano appoggiata tra le sue scapole era a volte scossa da un fremito involontario: ero agitata, e la cosa peggiore era che non sapevo spiegarmene il motivo.
Jimmy non fiatò. Respirava ancora affannosamente per la precedente corsa, ma sentirsi meglio.
- Sai chi è il ragazzo che è morto? - gli chiesi per rompere il gravoso silenzio.
Il bambino sollevò lo sguardo su di me. - Credo che si chiamasse Tom, ma non ne sono sicuro. Perché?
Diedi un’altra veloce scrollata di spalle. - Stava per uccidermi.
- Lo so.
Un’ulteriore regola del Ponte consigliava ai suoi abitanti di non provare a tessere rapporti con coloro che avevano tolto dai guai un’altra persona, così come, quello stesso giorno, il ragazzo dalla pelle olivastra mi aveva salvato la vita: non mi sarei stupita se da aiutante fosse diventato un cacciatore.
Non mi ero ancora concessa di trarre un sospiro di sollievo: dopotutto, ero viva. Stavo quasi per chiedere a Jimmy di fermarsi qualche minuto per fare una pausa, ma non ebbi modo di rilassarmi: una nuova minaccia incombeva su di me e il mio compagno.
Una nebbiolina scura che aveva origine da un punto imprecisato dietro di noi minacciava di volerci inghiottire.
Conoscevo quella nebbia. Non era niente di buono: non era mortale, ma era in grado di stordirti, farti perdere l'orientamento e guidarti verso l'inizio del Ponte, dove avresti trovato la morte nell'infinito abisso dell'Oblio.
- Jimmy... - sussurrai.
Ci voltammo entrambi, non essendo sicuri dell'identità di ciò che ci stava lentamente raggiungendo. Deglutii. - Scappa.
Quella parola così semplice continuava a ripetersi nella mia testa, echeggiando in un coro stonato e sinistro di voci che mi assordavano.
La salvezza era lontana; la nebbia, invece, si avvicinava sempre più velocemente.
Per una volta non pensai a salvare me stessa. C'era un bambino accanto a me, un bambino che non avrei abbandonato. Avrei fatto qualunque cosa per lui; avrei dato la mia vita per salvare la sua.

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SPAZIO AUTRICE
Hei, lettori!
Spero che la storia vi stia coinvolgendo :)

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