Capitolo 4

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Lo sentivo annaspare, cadere, rialzarsi. Quel piccolo bambino ossuto e la sua forza d'animo erano per me uno stimolo, o semplicemente un pretesto per andare avanti, tenere duro.
Ma nonostante la sua audace determinazione, presto lo sguardo fiero di Jimmy si spense e il bambino sentenziò: - Non ce la faccio più.
- Sì che ce la fai - dissi prendendogli il polso. Eravamo affaticati, ma non potevamo mollare. Pensai che non mancasse più di una decina di minuti all'inizio del Ponte, ma i rantolii del mio amico insistevano a convincermi che, invece, non ce l'avremmo fatta.
Lo vidi tossire e portarsi meccanicamente una mano alla bocca. Quando la ritrasse vidi che era sporca di sangue. Rabbrividii, cercando di ignorare il fatto che ogni passo di Jimmy, da quel momento, sarebbe potuto diventare pericoloso.
- Ce la possiamo fare. - asserii.
Jimmy scosse la testa; notai che stava rallentando il passo.
Mi concessi un istante per fermarmi e scuoterlo violentemente, posando entrambe le mani sulle sue spalle gracili. - Corri, Jimmy! Sei forte, lo so, l'ho sempre saputo.
Il bambino tossì ancora una volta. Avevo un'ultima possibilità, dovevo sfruttarla: ad alcuni metri da me c'era un albero davvero alto, i cui rami sembravano voler sfidare l'Oblio.
Presi in braccio Jimmy, caricandomelo su una spalla, e incespicai verso l'albero. Ero molto abile, sapevo arrampicarmi velocemente, ma solitamente non ero a pezzi e con un bambino inerte sulle spalle.
La nebbia scura si avvicinava minacciosamente, sentivo che non si sarebbe fermata, che non avrei avuto il tempo di arrampicarmi e sfuggire alla forza che voleva trascinarmi nell'Oblio.
Strinsi i denti e cominciai ad aggrapparmi al possente tronco dell'albero. Sentii Jimmy gemere, sussurrare parole che mi sembravano incomprensibili. Intuivo il loro significato, e non avevo alcuna intenzione di dare loro retta. "Lasciami cadere", dicevano.
No.
Mai.
Qualcosa mi sfiorò la caviglia, quasi precipitai dallo spavento: la nebbia mi stava raggiungendo. La sensazione che questa provocava sulla pelle era singolare e stranamente piacevole, tanto da indurmi a tuffarmi all'interno di quello che pareva vapore. Fui tentata di lasciarmi andare. Forse sarebbe stato meglio per me e per Jimmy: niente più problemi, niente più morti a cui dover assistere, niente più Ponte.
Ma avevo un bambino sulla spalla, un bambino che, sebbene oscillasse tra l'incoscienza e l'incapacità di comprendere appieno cosa gli stesse succedendo, contava su di me. Non potevo lasciarmi andare, non potevo abbandonare il suo corpicino. La mano di Jimmy strinse spasmodicamente l'orlo della mia maglietta, provocandomi un leggero graffio.
E continuai a salire.
Inaspettatamente, con una velocità che io stessa stentavo a credere di possedere, mi liberai dalla presa fatale della nebbia e impiegai tutte le mie forze in quell'ultima impresa.
Quando raggiunsi la cima dell'albero, la nebbia cominciò a diradarsi. Adagiai Jimmy accanto a me e gli feci una carezza sul viso, asciugando il rivolo di sangue che scorreva da un lato delle sue labbra. Gli baciai la fronte, sussurrandogli in un orecchio: - Mi dispiace, Jimmy.
Ed esausta e scossa dai capogiri caddi dal ramo sul quale mi ero accomodata, non avendo provando nemmeno a tenermi in equilibrio.
Pensai di aver fatto il mio dovere salvando Jimmy invece che me stessa. Non caddi che per qualche metro prima di entrare in uno stato di incoscienza. Non avevo visto la terra sotto di me che si avvicinava, non avevo visto la vita scivolare via dal mio corpo.
Per salvare una vita bisogna sacrificarne un'altra: fui felice di essere io l'anima e Jimmy il corpo.

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SPAZIO AUTRICE
Ciao lettori! Scusate se vi ho fatto aspettare, ma ieri non ho avuto il tempo di scrivere e aggiornarvi.
Sono felice che la storia vi stia piacendo :)

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