Mentre osservavo le nuvole correre nella nostra direzione, mi venne in mente che, qualunque fosse l'origine di quel maledetto fenomeno, una causa scatenante doveva pur esserci. E, per dare inizio a qualcosa di così strano, doveva pur trattarsi di qualcosa degno di nota.
Saltai giù dal letto e corsi verso il computer fisso che avevo personalmente assemblato raccattando componenti qua e là. L'unico posto dove potevamo trovare una risposta alle nostre domande era Internet. Accesi il computer e attesi la schermata di Google. La schermata non si presentò all'appuntamento. Al suo posto lampeggiava cupamente una scritta in grigio. In poche parole, anche Internet ci aveva lasciati.
Ci sono due cose che tradiscono le persone in momenti cruciali come questo: la tecnologia e le persone stesse.
Rachel mi toccò una spalla. Per quanto mi è concesso ricordare, da quando la conoscevo (e fidatevi che non si trattava di poco tempo) non mi aveva mai chiamato con il mio nome.
Il suo astuto cervello prediligeva l'uso di soprannomi che spesso sfioravano l'assurdo. Non quel giorno.
"Credo che la linea sia completamente a terra, El. Qualunque cosa ci sia là fuori, è una bella gatta da pelare."
Già, pensai io. Una maledetta bestiaccia.
Incrociai lo sguardo con Rachel. Erano questi i momenti di cui vi parlavo prima, quegli istanti in cui mi accorgevo che la ragazza che avevo di fronte era la naturale estensione di me stesso. Colsi un luccichio nelle sue iridi smeraldine, ed ero sicuro che lei aveva ravvisato lo stesso lampo nelle mie, poiché le sue labbra piene si incresparono quasi impercettibilmente. Zeta, che pur essendo sveglio non poteva di certo sapere cosa ci passava per la testa, ci osservò corrucciato.
"Hai capito, vero?" mi chiese Rachel.
"Puoi dirlo." sorrisi.
"Potreste rendermi partecipe?" chiese il mio disorientato fratello.
"Non funziona la linea, ma noi abbiamo un certo apparecchio con cui facciamo certe cose..." dissi, evasivo.
Zeta piegò la testa spazientito. "Andiamo, Elja. Combino casini da quando ho imparato a camminare, cosa pensi che io sia, un poliziotto? Che diamine, sono tuo fratello."
"Intercettiamo i segnali radio della polizia." confessai.
Mio fratello scoppiò a ridere e poi si fece immediatamente serio, come se qualcuno avesse tirato i giusti fili nella sua mente criminale.
"Mi stai dicendo che se usiamo il vostro aggeggio potremmo intercettare una conversazione e capire in che guaio ci siamo cacciati?"
"Qualcosa del genere."
In meno di un minuto fummo nel granaio. Sia chiaro, non era più un granaio da un pezzo, ma non sapevamo come altro chiamare quella costruzione, quindi ci limitavamo a definirla ciò che era.
Durante la nostra lunga amicizia, o qualunque cosa fosse, io e Rachel avevamo allestito nel granaio un vero e proprio centro informatico. Avevamo lo scanner radio (per intercettare qualunque conversazione nel raggio di svariati chilometri), un computer davvero performante e una decina di altri interessantissimi gadget. Più o meno legali.
Anubi si accucciò in un angolo, decisamente non intenzionato a dare adito a tutte quelle elucubrazioni umane.
Rachel accese lo scanner e la luce arancione cominciò a correre da una parte all'altra del display.
Tracorsero almeno dieci minuti di totale silenzio. Di solito, accendere lo scanner significava intercettare frequentemente segnali di ogni tipo, che spesso nemmeno si stabilizzavano, ma si facevano sentire scoppiettando nel microfono. Ma quel giorno, lo scanner era votato al silenzio.
Poi, tutto ad un tratto, sentimmo un crepitio. Lo scanner produceva lo stesso suono di un pezzo di legno umido gettato in una stufa.
Quando quel suono cessò, fece spazio ad una voce.
"A tutte le auto, organizzare posti di blocco ai margini della città, nessuno deve avervi accesso per nessun motivo. Rilevati picchi di radiazione da ovest. Procedere con cautela."
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The End
Science FictionQuesta storia comincia dalla fine. La fine di tutto. "Immaginatevi di svegliarvi un giorno e di scoprire che il mondo che conoscete è finito. Questa è la mia storia." #2 in Fantascienza [12.04.2016]