Avete presente i film apocalittici in cui i protagonisti, verso la fine della storia, magari con due proiettili in corpo e una frattura vertebrale scomposta, corrono, sparano e salvano l'umanità intera?
Toglietevelo dalla testa.
Quando aprii gli occhi, la morfina attenuava il dolore, portandolo alle soglie della sopportazione.
Digrignavo i denti per non piangere, ma era un'impresa ben più che ardua.
Rachel non c'era più.
Mi aveva fasciato la schiena e la spalla destra con un grosso lembo di stoffa, per poi adagiarmi con la spalla sana contro una parete.
Volevo alzarmi e andare ad aiutarla ma, a differenza degli impavidi attori di Hollywood, non riuscivo nemmeno a respirare senza che decine di coltelli dalla lama seghettata consumassero le mie carni.
Nel tentativo di mettermi in piedi, misi il palmo sinistro sul pavimento e provai a puntellarmi con il gomito opposto, ma ottenni solo un'esplosione di dolore dalla base del collo ai glutei. Era come avere in corpo dieci litri di benzina ed un fiammifero acceso.
Mi accasciai a terra ansimando e cominciai a vedere piccoli lampi di luce davanti a me. Stavo svenendo di nuovo.
Quando il dolore ebbe il sopravvento, caddi in uno stato di semi-incoscienza e, al posto della consueta stanza senza pareti, precipitai nel caldo e vaporoso limbo di un ricordo.Nelle nevose giornate di inverno inoltrato, io e Rachel avevamo l'abitudine di avventurarci attraverso le campagne sconfinate armati solo di tute da neve e macchina fotografica.
Ci eravamo messi in testa di poter vincere il primo premio di un concorso indetto dal liceo, il cui obiettivo era quello di cogliere l'essenza della natura.
Un pomeriggio, mentre fiocchi di neve grossi come palline da ping-pong precipitavano dal cielo, ci eravamo allontanati almeno un paio di chilometri da casa mia.
Un manto di neve alto circa un metro ricopriva la pianura, e un'impenetrabile velo di nebbia ci separava completamente dal resto del mondo.
Mentre trascinavamo i pesanti stivali imbottiti attraverso la coltre, un movimento ai margini del mio campo visivo aveva attirato la mia attenzione.
Era un passerotto, un uccellino grande quanto mezzo pugno.
Aveva un'ala spezzata, ed era immerso nella neve, tremante.
Lo avevo fissato a lungo con malinconia, finché non avevo sentito Rachel accanto a me. Forse un'altra ragazza l'avrebbe lasciato lì a morire, d'altronde era praticamente immobile quando lo trovammo, ma Rachel non era "un'altra ragazza".
Si era messa in ginocchio e aveva scattato una foto, per poi posarmi la macchina fotografica fra le mani.
Dopodiché, si era tolta il cappuccio di lana e aveva delicatamente raccolto l'uccellino, avvolgendolo nel tessuto.
Lo avevamo portato a casa e, con l'aiuto di Zeta, gli avevamo steccato l'ala.
Quando gli ultimi residui di neve avevano cominciato a sciogliersi, l'uccellino aveva cominciato a zampettare in giardino.
Una settimana dopo, si era alzato in volo, scomparendo all'orizzonte.
Vincemmo il concorso fotografico con la sequenza che mostrava il passerotto dal giorno del ritrovamento al giorno dell'addio.
L'avevamo intitolata "Rinascita".Non so perché feci quel sogno ma, come per magia, quando mi svegliai, due grossi occhi verdi mi fissavano.
"R... Rachel." sussurrai.
"Sono qui, tesoro, sono qui." rispose, sorridendo.
Roteai gli occhi e vidi Zeta e Anubi. Poi, svenni di nuovo.
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The End
Science FictionQuesta storia comincia dalla fine. La fine di tutto. "Immaginatevi di svegliarvi un giorno e di scoprire che il mondo che conoscete è finito. Questa è la mia storia." #2 in Fantascienza [12.04.2016]