A volte mi chiedo se avremmo potuto immaginarlo. Se quelle dannate nuvole erano qualcosa di prevedibile.
Non me ne faccio una colpa, questo no.
Ma quella mattina, con le scarpe affondate nell'erba bruciata dal sole estivo, continuavo a ripetermi che in fondo sapevamo che sarebbe successo.
L'essere umano è folle, maledizione. Abbiamo inquinato e ucciso, abbiamo deturpato il nostro pianeta nel peggiore dei modi, abbiamo raso al suolo foreste e torturato animali per il solo gusto di farlo. Abbiamo avvelenato il mondo e lui si è ammalato.
Quella mattina ero convinto che fossimo di fronte al nuovo Giudizio Universale, sebbene la religione non fosse propriamente la mia vocazione. Non mi sbagliavo. Il mondo si stava ribellando al suo più grande cancro, l'essere umano.
Le nuvole erano ormai vicine. Ero stupito che non fossero già sopra le nostre teste, a quel punto della giornata.
Camminavamo a passo svelto, ma la città, a differenza delle nuvole, non sembrava avvicinarsi. Mio fratello si rivolse a Trix.
"Come sei arrivata fin qui?"
Lei si tolse una ciocca di quei capelli infuocati dagli occhi e lo guardò.
Vidi i suoi occhi attraversati da un sottile velo di tristezza.
"Ero venuta per salutare i miei nonni, su in collina. Non ne ho avuto il tempo."
Zeta abbassò lo sguardo.
"Quando hai incontrato quell'uomo?" chiese Rachel.
"Non appena ho visto le nuvole ho telefonato ai miei nonni. Gli ho detto di prendere la macchina e di andare in città, alla metropolitana. Loro hanno obbedito, ma insistevano perché io li raggiungessi. Non c'era tempo, così ho cercato un rifugio temporaneo. Quell'... uomo, o qualunque cosa fosse, mi ha trovata mentre cercavo di entrare in una cascina disabitata. Mi ha urlato che mi voleva, che ero sua, che sarebbe entrato dentro di me."
Rachel deglutì e mi guardò. Credo che in quel momento riponesse in me tutte le sue speranze di sopravvivenza. Pensai che non ero in grado di salvare me stesso, figuriamoci lei. Poi ci ripensai. No, lei l'avrei salvata anche a costo di farmi anmazzare.
Zeta fece un'altra domanda.
"Cosa credi che l'abbia ridotto così? Voglio dire, le ustioni, la follia..."
"Non lo so. Potrebbe essere scappato da un manicomio, o da un carcere. Credo che la polizia abbia altro a cui pensare, adesso."
Già, la polizia. Mi sfilai dal collo la quarta mitragliatrice e la porsi a Trix. Lei mi fissò con i suoi grandi occhi color cioccolato.
"Dove le avete prese?"
"Per il momento è meglio che tu non lo sappia." dissi. Ma poi le raccontai ugualmente tutto.
Arrivammo alla città intorno alle dieci di mattina. Il cielo pulsava come il cuore di un animale selvatico.
Notai subito che qualcosa non andava.
Il perimetro della città era stato delimitato da enormi barriere di cemento. Sembrava che fossimo improvvisamente ripiombati nel Medioevo, e quello fosse il dannato muro di cinta di una dannata fortezza.
Mancava il fossato con i coccodrilli, ma avevo il sentore che, prima o poi, avremmo trovato anche quello.
Non riuscivo a credere che in così poche ore avessero innalzato un muro di quelle dimensioni.
Dovevamo trovare un'entrata prima di finire sotto quelle nuvole, ma quello stupido muro di cinta non sembrava avere varchi.
Sentii delle urla. Poi, uno sparo. Provenivano dall'interno della città.
Capii che l'unica alternativa rimasta era scegliere se morire dentro o morire fuori.
STAI LEGGENDO
The End
Science FictionQuesta storia comincia dalla fine. La fine di tutto. "Immaginatevi di svegliarvi un giorno e di scoprire che il mondo che conoscete è finito. Questa è la mia storia." #2 in Fantascienza [12.04.2016]