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Penso che gli eventi sfavorevoli accadano alle persone secondo un principio di proporzionalità inversa basato sugli sforzi fatti per far sì che quegli eventi stessi non accadano.
In poche parole: più ti impegni per evitare la sfiga, più lei ti trova rapidamente. Non so se mi spiego.
Adesso vi faccio un esempio pratico: noi cinque ci eravamo allontanati in fretta e furia dalle nuvole e con altrettanta celerità avevamo trovato un nascondiglio dai soldati. Risultato? Eravamo sotto la pioggia e avevamo un drappello di soldati a cento metri di distanza.
E non era il nostro problema più grande.
Dopo aver sentito il ringhio gutturale di Anubi, mi voltai.
Stava arrivando un quinto soldato. Poiché era immerso fino alle caviglie nella pioggia arteriosa, non c'erano dubbi sul fatto che fosse già impazzito.
Correva nella nostra direzione molto più velocemente di quanto potessimo fare noi, mentre i suoi occhi patinati di blu follia quasi sorridevano nel vedere cinque prede in trappola.
Senza lasciare Zeta, urlai a Jeffrey.
"Sparagli! Sparagli alla testa!"
Vidi i suoi occhi attraversati dal panico e fui immediatamente sicuro che non avrebbe sparato.
Lo comprendevo: la prima volta che avevo visto uno di quei "cosi", il mio cervello era andato in pappa, ed io ero rimasto fermo come un idiota ad aspettare di essere ucciso.
Mancavano tre metri, forse due e mezzo, ed io già stavo dicendo le mie preghiere.
Non mi rivolgevo a nessun Dio in particolare, bastava semplicemente che uno di loro mi salvasse.
Evidentemente, lassù qualcuno mi ascoltò.
Rachel si parò davanti a me e aprì il fuoco come il John Rambo di turno.
La testa dell'uomo saltò in aria come fuochi d'artificio nella notte di Capodanno ed io sentii gocce di sangue altrui sul mio volto. Ero sul punto di svenire.
Quando Rachel si girò verso di me e vidi il suo sguardo compresi che, se c'era un dio, aveva usato tutti i suoi poteri per creare lei. A noialtri semplici umani aveva giusto fatto l'impasto, per poi lasciarci fare da soli. Ecco il risultato, cara la mia divinità.
Sette miliardi di persone rincretinite da una pioggia che probabilmente loro stesse hanno creato ed una creatura di Dio in mezzo alle bestie.
Povera la mia Rachel.
La ringraziai come mi era concesso in quel momento, cioè balbettando, poi andai a rassicurare Jeffrey, che non la smetteva di scusarsi.
"Che facciamo adesso?" chiese Trix.
"Continuiamo," dissi, "Sempre verso l'ospedale."
Diedi un'occhiata agli altri soldati e vidi che avevano problemi ben più grandi da risolvere, piuttosto che occuparsi di noi.
Ripartimmo. La pioggia non accennava a smettere nemmeno per un istante, come se il mondo, all'improvviso, avesse deciso di restiruirci tutte le lacrime che gli avevamo fatto scendere con il nostro scriteriato stile di vita.
Nonostante io sia di natura votato all'ottimismo, in quel momento fui sicuro che non ce l'avremmo fatta.
L'ospedale, dovunque fosse, era già stato senza dubbio razziato dai soldati e, in caso contrario, noi non avremmo di certo potuto portare a termine un'operazione chirurgica di quella gravità.
Mi limitavo a strisciare contro le vetrate antiproiettile di una banca, quando qualcosa attirò la mia attenzione.
C'era un cartello oltre la strada. Per quanto consumato dalla pioggia, esibiva ancora grosse lettere colorate.

PARCO "JONATHAN FAJZULIN", IL PARCO DEI MISTERI 500 m.→

Perché continuavo a fissarlo? Non lo capivo. Però un brivido correva lungo la mia colonna vertebrale, intimandomi di pensarci sopra. Sentii Rachel al mio fianco.
La guardai. Aveva il naso arricciato.
Dopodiché, la vidi allungare un braccio verso il cartello. "Elja!!!!!"
"Cosa?!" chiesi io, allarmato.
"Jonathan Fajzulin! FAZLI! È la parola che ha urlato il barbone!"
FAZLI. Me l'ero completamente dimenticato.

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora