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La frequenza dei miei svenimenti diminuì con il trascorrere delle ore. Stavo male, malissimo a dire il vero, ma almeno riuscivo a rimanere lucido.
Anubi si era accucciato al mio fianco, in attesa.
Rachel mi sostituì la fasciatura ed io cercai di non gridare, mordendomi l'interno delle guance fino a sentire il gusto del sangue.
"Trix sta per tornare." annunciò Zeta, all'alba. Era piuttosto preoccupato, ma cercava di non darlo a vedere.
"Come fai a dirlo?" chiese Rachel.
"Le luci dei piani inferiori si sono spente. Fra poco avremo visite." rispose mio fratello.
Non riuscì nemmeno a terminare la frase. Un grido si alzò dal livello inferiore, oltre la porta da cui eravamo entrati io e Johan.
"Aprite! Capitano Stevens, è lì? Non c'è corrente!" urlò una voce.
Non c'era nessun dannato Capitano Stevens, ovviamente, solo tre ragazzi ed un cane. Diciamo pure due ragazzi e mezzo.
"Che facciamo?" sussurrò Rachel.
"Lo so io." rispose Zeta. Mi alzai a fatica per vedere che intenzioni aveva.
In un angolo della stanza torreggiavano tre grossi distributori d'acqua.
Mio fratello li trascinò uno per volta oltre la prima porta e li rovesciò fra le scale ed il gabbiotto, facendo lo stesso con i contenitori poco più in basso. Il livello dell'acqua si alzò di circa venti centimetri.
Dopodiché, prese un cacciavite dal mio zaino e tolse il tastierino numerico della porta.
Infilò un braccio nell'apertura che si era creata e tirò fuori un filo elettrico incredibilmente lungo.
Arretrò con il filo in mano finché non mise i piedi all'asciutto. Compresi il suo piano. Pregai che funzionasse.
"Zeta! Non può funzionare! Trix ha tolto corrente!" disse Rachel, spaventata.
"Le porte hanno una batteria tampone, altrimenti, in caso di blackout, bloccherebbero le persone al loro interno. È l'ultima occasione che abbiamo." spiegò Zeta, dopodiché, alzò la voce.
"Sono il Capitano Stevens! Trovate un modo per entrare, siamo in trappola!"
Dall'altra parte della porta, i soldati cominciarono ad armeggiare con qualcosa. Dopo alcuni minuti, un intera sezione della porta crollò in avanti, lasciando spazio all'ingresso di una ventina di soldati.
"Capitano, dov'è?"
"Quassù!" gridò Zeta. Attese un paio di secondi, il tempo necessario perché i soldati si bagnassero per bene fino alle caviglie, e gettò il cavo nell'acqua. Si sentì un rumore statico, simile allo scoppiettio dei popcorn nel forno a microonde, successivamente urla disumane inondarono l'ambiente.
Zeta voltò la testa nel tentativo di non assistere allo scempio che aveva provocato, ed io mi sentii in colpa per non averlo aiutato.
Avrebbe dovuto sopportare da solo il peso di tutte quelle persone sulla coscienza.
Rachel, attraversata dalla mia stessa sensazione, gli si avvicinò.
"Ci avrebbero ucciso, se non lo avessi fatto." cercò di consolarlo. Lui annuì, ma sapevo cosa stava provando.
Sentii un altro rumore, poi la testa di Trix spuntò dal passaggio aperto dai soldati.
Zeta sollevò la testa e sorrise debolmente. Lei evitò di far cadere lo sguardo sui corpi ustionati dei soldati e corse ad abbracciarlo.
Ci raggiunsero anche Abraham e Tabytha.
Quando Zeta e Trix si sciolsero dall'abbraccio, Abraham mise una mano sulla spalla di mio fratello.
"Ben fatto, ragazzo. Quei figli di puttana ci avrebbero appeso a testa in giù e avrebbero ridotto a brandelli le nostre donne. Hai fatto la cosa giusta." disse, trionfante. Zeta ringraziò timidamente e Tabytha scosse la testa energicamente, suscitando le risate generali.
Mi augurai di poter invecchiare abbastanza da poter parlare della morte in quel modo.
"Quanti ce ne sono ancora?" chiese Zeta.
Abraham fece un gesto sprezzante con la testa. "Non molti. Credo che stiano fuggendo. La situazione ormai è critica, non sono riusciti a mantenere il controllo della città, ma, anche se ci fossero riusciti, la pioggia...."
Si interruppe, avvicinandosi alla vetrata del centro di controllo, con la testa verso l'alto.
"La pioggia!" gridò.
Lacerato dal dolore, mi ero appena lasciato cadere sul pavimento. Quando Abraham cominciò ad agitare le grosse dita verso il cielo, dimenticai la mia sofferenza e mi avvicinai ai vetri, seguito dagli altri.
Le nuvole stavano comportandosi in modo strano.
Correvano veloci in cielo, lasciandosi alle spalle lunghi strascichi blu .
Mentre la loro incessante rincorsa procedeva, si scontravano l'una con l'altra, scatenando enormi ululati temporaleschi e...
Dissolvendosi.
Se ne stavano andando.
Il cielo stava tornando.
La tempesta stava finendo.

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora