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Mi sono sempre chiesto cosa diamine spinga alcuni animali a vivere sottoterra. Dopo tre ore che camminavo infilato in quei cunicoli indistinguibili, cominciavo ad accusare l'assenza di aria corrente.
Mentre il mio respiro si faceva sempre più flebile e la mia sopportazione era sempre più vicina al limite, compresi che ci sarebbe servita molta più fortuna di quanto avessimo preventivato.
Allo scoccare della decima ora sotterranea ero sicuro che non avrei più rivisto la luce del sole, o di quel che ne era rimasto.
Invece, come per magia, tredici ore dopo aver affidato Dana e Hype alla sorte, giungemmo a destinazione.
"Aspettate." disse Rachel, appena prima che io e Zeta uscissimo dal condotto. "Zeta ha un GPS addosso. Non li prenderemo di sorpresa rivelandogli la nostra posizione."
Johan scese di nuovo nella fogna e si grattò la testa, indeciso sul da farsi.
Zeta allargò le braccia. "Non è un problema, li attireremo in trappola." disse.
"In che modo?" chiese Johan.
"Mi allontanerò di qualche chilometro e li porterò lontani da qui."
"Non se ne parla nemmeno." dissi, "Non possiamo dividerci."
Avevo paura di perderlo, non biasimatemi.
Ma lui mi si avvicinò con uno sguardo tranquillo e mi diede una pacca sulla spalla.
"Ti ricordi cosa ti ostinavi a ripetermi dopo l'incidente di mamma e papà?"
Me lo ricordavo, ma lui lo disse ugualmente.
"Ce la caveremo. Siamo forti."
"Vado con lui." disse Trix. Si aggiunsero anche Abraham e Tabytha.
Ci salutammo a malincuore. Le probabilità di ritrovarci erano scarse, se non nulle, ma dividerci era la nostra unica alternativa.
Rimanemmo soli. Rachel, Johan, Anubi ed io.
In superficie, la pioggia non dava segno di smettere.
Uscendo dal condotto, ci ritrovammo in un grosso parcheggio al coperto.
Attraverso le scale antincendio, raggiungemmo il piano superiore.
Allungai lo sguardo verso l'alto, mentre la pioggia ed il vento spazzavano via il mondo intorno a noi.
Poche centinaia di metri più avanti, in cima ad una collina, fiera avanguardia dell'esercito, sorgeva il grigio edificio dell'Osservatorio.
"Come arriviamo fin lassù?" chiese Rachel.
"C'è una sola via." disse Johan, lanciando uno sguardo imperscrutabile alla collina.
Avevo una mezza idea di cosa stesse per proporre ma, in cuor mio, desideravo che non lo dicesse.
"L'Osservatorio riceve la corrente elettrica attraverso un complicato sistema sotterraneo. È il passaggio che i soldati sfruttano per uscire indisturbati."
Fra le prospettive meno rosee per il prosieguo della nostra missione, tornare sottoterra era sicuramente la peggiore. Ma andava fatto.
Johan ci condusse fino al seminterrato del parcheggio; dopodiché, rimuovendo una serie di pannelli di cartongesso, aprì un varco nel muro.
"Questa è una delle gallerie più esterne. Penso sia in disuso, a giudicare dalle condizioni."
Per l'ennesima volta, ficcai i piedi in due dita di acqua stagnante e ritornai a respirare l'aria stantia e carica di umidità di un sotterraneo. Perlomeno mi ero liberato di quel terribile odore di fogna.
Camminammo a lungo, in silenzio, cercando di avvicinarci al quartier generale dell'esercito senza essere individuati.
Qualche tempo dopo, quando avevo ormai perso l'orientamento, il suolo umido della galleria fu sostituito da un pavimento di linoleum blu.
Eravamo arrivati.
Trecento metri più in alto, i soldati si preparavano ad ucciderci.

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora