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Le nuvole se ne stavano andando davanti ai nostri occhi.
Stavano abbandonando il nostro mondo dopo averlo distrutto, polverizzato, ridotto in cenere.
La pioggia, sempre più sottile, si abbatteva sull'asfalto con la consapevolezza di aver raggiunto la fine, ed una pallida speranza ricominciava a dipingere i nostri volti.
Abbracciai Rachel nel modo in cui le ferite me lo permettevano, ovvero cingendola con il braccio sano.
Dopo tutto quello che avevamo passato, la sua pelle emanava ancora quell'aroma dolce, intatto, indimenticabile.
Quando il primo raggio di sole trafisse l'impenetrabile coltre di nuvole, i suoi occhi si illuminarono.
La vidi sbocciare davanti a me, come uno splendido fiore che viene sfiorato dalla luce solare dopo giorni di tempesta. Era diventata una donna, una meravigliosa e fiera creatura della Terra.
Zeta, con accenni di barba a definirgli la mascella e grossi calli sulle mani a testimoniare le sue fatiche, corse da Trix e la prese in braccio, stringendola forte. Si baciarono.
Mi sentivo un guardone, uno di quei vecchi bavosi sorpresi a sbirciare sotto le gonne delle signore, ma ero felice. E lo era anche Anubi, che ululava al primo spicchio di sole come un solitario lupo del deserto di fronte alla luna.
E lo erano Abraham e Tabytha, che avevano perso tutto, ma non la forza che li teneva uniti nel loro infinito abbraccio.
Non volevo parlare a Rachel dei miei sentimenti, non ancora. Le diedi un bacio sulla fronte e tornai a guardare fuori.
In basso, dove l'intricato groviglio di strade asfaltate componeva quella che un tempo era stata una città, i soldati sopravvissuti si erano riversati in strada.
Molti avevano lasciato cadere le armi e si erano inginocchiati sull'asfalto, piangendo e abbracciando i compagni. Alcuni, semplicemente, fissavano con occhi increduli la "fine della fine", torcendosi le mani nel tentativo di svegliarsi da quello che pareva essere un sogno.
Sentii la ferita pulsare e mi ricordai che avrei ancora avuto il mio daffare, prima di cantare vittoria.
Aiutato da Zeta e Abraham, scesi lentamente le scale e mi ritrovai nel livello inferiore, ricoperto dai cadaveri carbonizzati dei soldati. Ripercorremmo a ritroso il corridoio e la galleria putrescente, finché non ci ritrovammo nel parcheggio.
Uscimmo all'esterno con la prudenza di quegli animali intrappolati così tanto tempo da non ricordarsi il concetto di libertà.
Tastammo con le suole delle scarpe i punti in cui l'asfalto cominciava ad asciugarsi e camminammo lentamente fra i palazzi, mentre enormi fiumi di acqua acida scorrevano per l'ultima volta attraverso le strade.
Proseguimmo così per molto tempo.
A metà pomeriggio uscimmo da quella maledetta città, imboccando la superstrada.
Mi guardai intorno. Le verdi colline erano ormai un vago ricordo. I fili d'erba che mi avevano solleticato i polpacci pochi giorni prima erano scomparsi, lasciando spazio ad uno sconfinato deserto di terra.
Immersi in quel paesaggio lunare, procedemmo in silenzio, rapiti dal panorama e dalle speranze, dalla luce del sole e dalle paure.
Camminavo a fatica, cercando di escludere il dolore dalla mia mente. Era difficile, ma sentivo di potercela fare. Speravo almeno di raggiungere casa mia. Sempre che ci fosse ancora.
Non mi sbagliavo.
La cascina in cui io e Zeta eravamo cresciuti, era ormai un lontano ricordo.
Era stata sostituita da lugubri rovine color ruggine, e non offriva più riparo di quanto non facesse qualunque ammasso disordinato di mattoni rovinati.
Il furgone di mio padre sembrava una gigantesca scatoletta di tonno abbandonata.
Strinsi i denti, cercando di non piangere. Le condizioni della casa mi facevano star male, ma ciò che mi commuoveva davvero era altro.
Le foto con i miei genitori erano andate perse. Con il tempo, i miei ricordi sarebbero sfumati e non avrei più potuto ammirare lo sguardo allegro di mia madre o quello buffo di mio padre. Se ne sarebbero andati, come cenere esposta al vento.
So che le mie parole ora risulteranno bizzarre, ma vi giuro sul mio onore che non sto mentendo.
Rachel, che ormai aveva aperto un canale di comunicazione con la mia mente ai limiti della telepatia, mi si avvicinò. Gli altri erano rimasti indietro, intenti a decidere su come procedere.
"Non li dimenticherai." mi disse.
Inizialmente, fui spiazzato dalla sua affermazione, poi capii che sapeva a cosa stavo pensando.
"Forse non ricorderai bene il disegno delle loro sopracciglia, o la forma della loro mascella. Ma non dimenticherai mai i loro occhi, il loro sorriso e la loro voce. Saranno sempre qui con te." disse ancora.
Mi fece piangere. Dannazione, se mi fece piangere. Ma era un pianto liberatorio, sereno, nostalgico.
La abbracciai e smisi di singhiozzare.
Con il resto della compagnia a qualche decina di metri di distanza, in quel lembo di terra e polvere c'eravamo solo noi. Noi e il vento.
"Rachel."
"Dimmi."
"Ti ricordi quando ti ho promesso che, una volta finito tutto questo, ti avrei detto una cosa?"
"Sì, certo."
Presi fiato. Se il cuore avesse continuato a battermi con quella frequenza ancora per molto, sarei morto dissanguato.
"Ho trascorso gli ultimi dieci, undici, dodici... diamine, non so quanti giorni siano, so solo che li ho trascorsi a pensarti. Il mondo poteva anche finire, per quel che mi riguarda potevamo anche sprofondare tutti all'Inferno. Tutti, ma non te. Non so cosa tu ci faccia su questa Terra e non so nemmeno perché, fra tutte le persone al mondo, hai scelto di farti affiancare da uno che si fa ficcare un proiettile in corpo ogni volta che ne ha l'opportunità. Ma so che se trascorressi ogni singolo giorno della mia vita a cercare una persona migliore di te, non riuscirei a trovarla.
Mi hai cambiato la vita, e non lo dico perché tra poco perderò i sensi, lo dico perché è vero. Sei entrata nei miei giorni come un uragano e hai spazzato via tutto ciò che me l'ha resa difficile. Accidenti, io non credo che avrei potuto farcela senza di te, probabilmente non avrei nemmeno fatto in tempo a vedere l'apocalisse. E scusami se sono una frana in queste cose, ma quel che sto cercando dirti è che..."
Non mi lasciò finire.
Un attimo prima era di fronte a me, un attimo dopo le sue labbra erano premute contro le mie.
Forse il mondo era finito, certo, forse gli alberi non sarebbero più nati e le esalazioni tossiche ci avrebbero ucciso comunque, ma quella ragazza con gli occhi verde smeraldo mi aveva appena baciato e l'unica cosa che contava era quella.
Il mio mondo era appena iniziato.
Mi nutrii ancora qualche istante del gusto dolce delle sue labbra, poi cedetti al tiepido abbraccio che il cervello stava organizzando per me.
Prima di svenire -badate bene, per il proiettile, non per il bacio, mica sono il protagonista di un cartone animato- sentii le pale di un elicottero in avvicinamento.
Stavano venendo a salvarci?

Amici miei, buongiorno!
Questo racconto giunge ormai alla conclusione.
Domani arriverà l'epilogo e sarà accompagnato dai ringraziamenti, in cui vi parlerò di ciò che ci attende all'orizzonte (tranquilli, nessuna nuvola!).
Voglio cogliere l'occasione che questo penultimo capitolo mi offre per salutarvi e per iniziare a porgervi la mia più sincera gratitudine per essere giunti fino a questo punto.
Grazie davvero, siete i migliori!
A domani!
Giorgio :)

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora