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Non appena Trix strinse la fasciatura improvvisata intorno al corpo di Zeta, sollevai il peso inerte di quest'ultimo e me lo caricai su una spalla.
Jeffrey si offrì di aiutarmi ma rifiutai, ben consapevole che, se si fosse ripresentata la necessità di usare le armi, almeno uno fra noi due avrebbe dovuto avere le mani libere.
"La fasciatura sembra reggere." osservò Rachel.
"Mia madre è un medico, ho fatto tutto il possibile." disse Trix, lanciando uno sguardo preoccupato a mio fratello, "Ma dobbiamo trovare un posto dove salvarlo."
Se fino a quel momento uscire dal supermercato aveva rappresentato il peggior scenario possibile, a quel punto restava l'unica via praticabile.
Salimmo attraverso le scale mobili e ci ritrovammo di fronte alla serranda che avevamo abbassato.
Jeffrey la sollevò. Sbirciai attraverso le vetrate divelte dalla granata che poco prima ci aveva offerto una via di fuga dalla pioggia.
Nei pochi minuti in cui le circostanze mi avevano lasciato il tempo di immaginare ciò che si sarebbe palesato dinanzi ai miei occhi una volta sollevata la serranda avevo concepito scenari orribili, ma nessuno di questi si sarebbe mai lontanamente avvicinato a ciò che i miei occhi videro in quell'istante.
La città, come la ricordavo, non c'era più.
Dal cielo - o quel che ne rimaneva - scendeva una pioggia color ruggine, così intensa da far sembrare le strade enormi arterie invase dal sangue.
Le automobili che avevo visto un'ora prima abbandonate nel parcheggio erano diventate ammassi di lamiera arruginita, piegate su loro stesse come lattine di Coca-Cola fra i rifiuti. Alcuni edifici erano sul punto di collassare, minacciosamente inclinati verso l'asfalto.
Una grossa bandiera appesa ad un lampione, ormai ridotta in brandelli, sbatteva ripetutamente sulla struttura che la reggeva, sul punto di arrendersi definitivamente alle intemperie.
Sentii i brividi percorrermi avidamente la schiena.
Eccola, la tanto bramata "fine del mondo", l'apocalisse che scrittori, registi e amanti della fantascienza (me compreso) attendevano con ansia.
Ma esserci in mezzo non era un romanzo, né tantomeno un film.
Era la vita reale, ed era finita.
Guardai Rachel. Aveva gli occhi lucidi e le mascelle serrate, come se la conclusione a cui era arrivata fosse la medesima a cui ero giunto io.
In quel momento avrei voluto stringerla e prometterle che sarebbe andato tutto bene. Ma non potevo, perché sapevo che non era vero.
"Cosa facciamo?" chiese Trix.
"Camminiamo. Sfruttiamo tutti i portici, tutte le rientranze, qualunque cosa ci ripari dalla pioggia. Andiamo verso l'ospedale, forse là troveremo qualcosa." dissi.
Sentii la disperazione arrampicarsi sul mio stomaco e scavarci dentro con i suoi artigli affilati.
E pensare che solo due giorni prima il mio problema più grande era sottrarre la connessione Internet ai vicini.
Feci uscire Anubi per primo e lui strisciò diligentemente contro la parete in vetro del supermercato. Procedemmo in fila indiana per molto tempo, ascoltando il rumore di quelle lacrime mortali che si schiantavano sull'asfalto e la cacofonia di sirene e allarmi che ancora scuotevano le rovine della città.
In quel disastro avevo però una consolazione: i militari erano nella nostra stessa situazione.
Come a confermare la mia teoria, circa trenta minuti dopo esserci allontanati dal centro commerciale, sentimmo una deflagrazione.
Mi voltai sulla mia sinistra e vidi in lontananza quattro soldati. Tre erano al riparo sotto le balconate di un condominio, mentre il quarto era sotto la pioggia.
A causa della distanza, non riuscivo a capire che diavolo stesse succedendo, così puntai la mitragliatrice nella loro direzione ed utilizzai il mirino come binocolo.
Fu allora che un frammento dell'immenso puzzle che rappresentava quel mistero andò al suo posto.
Il soldato sotto la pioggia era ricoperto di ustioni, ed aveva la gamba incastrata in una grata.
Agitava le braccia come un pazzo e sbraitava.
Jeffrey e Rachel completarono il mio ragionamento.
"È esplosa una tubatura del gas mentre passavano sopra alla grata ed è rimasto incastrato." disse lui.
Lei annuì, pensierosa. Incrociammo lo sguardo e capii a cosa stava pensando. O, per meglio dire, a chi.
Ricordai l'uomo che mi aveva quasi ucciso, quello che aveva spinto Trix fino al nostro gruppo.
"Non era un pazzo!" esclamai a voce alta, "La pioggia li rende così!"
Sentii il ringhio di Anubi e mi voltai. Me n'ero accorto troppo tardi.

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora