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Sfoderai un grido da far impallidire un tenore lirico, ma fui subito zittito da chi mi aveva stretto il braccio.
"Ehi, ehi, non gridare, maledizione! Sono un amico!" disse la voce.
Mi zittii. Sentivo il cuore galoppare nel petto come un destriero a cui viene concessa la libertà dopo anni di prigionia.
Sporsi la testa fuori dal tombino e incrociai il volto del mio interlocutore. Un uomo di circa trent'anni, con i capelli corvini lunghi fino alla base del collo, gli occhi grigi e una spolverata di barba a disegnare il profilo della mascella.
"Sono Johan." si presentò, dandomi una mano ad uscire da quel dannato buco. Una volta fuori, notai che l'uomo era grosso quanto un armadio.
Aiutammo gli altri a salire in superficie. Eravamo spuntati sotto una struttura circolare di metallo, un gazebo avvolto da grossi rami di edera. O meglio, da quanto ne restava.
"Siamo nel parco?" chiesi.
"Puoi scommetterci, amico." sorrise Johan.
Poi, notò il corpo di mio fratello e agitò le braccia verso di lui.
"È ferito? Dobbiamo subito portarlo da Katia!" asserí, preoccupato.
"Avete un medico?" chiese Rachel, con gli occhi speranzosi.
"Accidenti, certo che ce l'abbiamo! Sbrighiamoci, sta per andare in shock!"
Sorreggendo Zeta con un braccio, Johan si allontanò verso l'uscita del gazebo, in direzione di un blocco rettangolare di cemento che fuoriusciva di circa un metro dal pavimento.
Aprì una porticina di lamiera arruginita e ci fece cenno di entrare.
"C'è un rifugio antiatomico, qui sotto. L'hanno fatto costruire durante la Seconda Guerra Mondiale. È allestito per sopravvivere ad un inverno nucleare, o a qualsiasi cosa che ci assomigli." ci spiegò, mentre ci avventuravamo in un claustrofobico cunicolo.
"Non temete," disse poi, "Katia è un chirurgo con i fiocchi. Se il vostro amico ha una minima possibilità di salvarsi, è in buone mani."
Giungemmo in una stanza rettangolare ampia approssimativamente trenta, quaranta metri quadrati, illuminata dalla pallida luce di un neon.
Mentre Johan si allontanava, distinsi quattro persone: una coppia di anziani, i cui componenti dovevano avere almeno sessant'anni, una donna e un bambino.
Sentii Trix piangere. La guardai. Fissava la coppia e le lacrime le rigavano il volto in un incessante diluvio.
"Nonna, nonno!" disse, correndo verso i due, increduli.
Non per rivangare il concetto già espresso, ma le coincidenze continuavano a prendersi gioco di noi.
Johan ritornò con una donna sulla quarantina, bionda e molto magra.
Ci presentammo, e lei mi restituì un sorriso ed una stretta di mano ugualmente gelidi. Era una di quelle persone che, in circostanze normali, avrei volentieri evitato.
"Katia salverà il vostro amico, ve lo prometto." disse Johan, mentre la donna si allontanava con mio fratello adagiato su una barella.
Feci conoscenza con la donna ed il bambino, che si rivelarono essere madre e figlio (Dana e Hype), poi mi rivolsi a Johan.
"Come avete trovato questo posto?"
"Fino a qualche anno fa ero un marines. Poi mi hanno sbattuto fuori perché non avevo intenzione di eseguire ordini che violavano il mio codice morale. A quanto pare, il mio non era l'unico corpo delle forze armate ad essersi rincoglionito." disse, accennando con il mento alle nostre tute mimetiche. "Conoscevo questo posto e, quando ho visto il cielo, non ho esitato ad infilarmici. Gli altri li ho trovati durante la fuga."
"E Katia? Lei non mi sembra una donna... normale." chiesi.
Johan rise fragorosamente, un dettaglio che lo rese ancora più imponente.
"E non lo è, infatti. Era un medico militare. Fidati, nessuno ha mani migliori delle sue."
Mi fece l'occhiolino ed una parte di me sospettò che la faccenda delle mani non si fermasse esclusivamente ad un giudizio medico, ma non indagai oltre.
Mi occupai piuttosto di assicurarmi che Rachel e Anubi stessero bene. Sembrava tutto a posto.
Ma non lo era.

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora