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Suppongo che, quel pomeriggio, i livelli di adrenalina nel mio sangue sfiorarono vette mai raggiunte prima.
Nell'esatto istante in cui il soldato spalancò la porta dinanzi a me e Johan, il mio cuore minacciò di cedere.
Ero stanco, teso e disperato. Non credevo che ce l'avremmo fatta.
Osservai il soldato. Era un omuncolo basso e rachitico, troppo magro per stare nella tuta. Aveva il viso ingrigito, scavato da anni di stress e odio represso.
Mostrò i denti in quella che doveva essere un'espressione interrogativa e parlò.
"Codice?" chiese.
Guardandolo, pensai che Johan avrebbe potuto spezzarlo in due parti uguali, ed era esattamente ciò che desideravo. Ma non successe.
Avevo bisogno di un codice.
Diamine, davvero funzionava come uno stupido gioco per bambini in cui, per avere accesso al livello superiore, bisognava scandire una parola d'ordine?
Sì.
Cercai furiosamente una scusa plausibile e, nel farlo, sollevai un braccio. La mia mano incontrò un piccolo oggetto metallico.
La targhetta! Che fosse ciò che cercavo?
La sollevai con un sorriso teso e ne lessi il contenuto.
L'uomo ci scrutò a lungo con i suoi occhietti neri, infine alzò l'arma verso di me. Vidi la mia intera vita scorrere davanti agli occhi.
"Avanti, entrate." disse, gesticolando con la mitragliatrice, come se fosse la naturale estensione del braccio. "Ma rammenta, ragazzo, il codice va ricordato, non letto."
Sciorinai qualche migliaio di frasi di scusa e poi mi introdussi oltre la porta, seguito da Johan.
Eravamo dentro.
Il soldato mingherlino ritornò all'interno del suo gabbiotto e smise di darci attenzioni.
"E adesso?" sussurrai a Johan.
"Al piano di sopra. Se hanno un centro di controllo, hanno bisogno di computer e strumentazioni varie. Qua non c'è niente del genere."
Camminammo fra gli altri soldati che, ignari della nostra identità, non ci degnavano di uno sguardo.
Salimmo le scale indisturbati, fino a giungere al piano di controllo.
Lo sentivo, eravamo ad un solo passo dalla fine. Mancava così poco...
Ma, lo sapete meglio di me, fino a quel punto era stato troppo facile.
La porta che dava accesso al piano era provvista di un tastierino elettronico.
Provai a digitare le cifre della targhetta, ma lo schermo si illuminò di rosso.
Riprovai con altre combinazioni, ma ottenni solamente un'ulteriore serie di pulsazioni vermiglie.
Bloccati da un dannato tastierino elettronico.
Sentii un rumore alle mie spalle. Mi immobilizzai.
"Guarda, guarda."
Una voce che conoscevo.
Katia.
"Ecco i prodi eroi." disse, con un tono tagliente.
Al mio fianco, vidi Johan irrigidirsi.
"Alzate le mani." disse Katia.
Ubbidimmo.
Lei mi passò davanti. Indossava un camice bianco e profumava di pino. Digitò la password, una serie di numeri che non avrei mai potuto intuire, e fece un gesto a qualcuno alle nostre spalle.
Sentii la bocca di un'arma punzecchiarmi la parte bassa della schiena e ne assecondai il movimento, camminando in avanti.
Mi guardai intorno.
Il centro di controllo dell'Osservatorio era composto da una parete ricoperta da enormi monitor colmi di cartine geografiche virtuali e valori numerici.
Dalla parte opposta, un'immensa vetrata semisferica si affacciava sulla città, offrendo uno spettacolo di agghiacciante bellezza.
Mentre imponenti colonne di fumo denso continuavano la loro letale scalata verso il cielo, le immense nuvole blu follia erano tagliate trasversalmente da inverosimili precipitazioni temporalesche.
La città, che in origine era stata un fiero avamposto della modernità e dell'orgoglio umano, era ridotta ad un mucchio di cenere.
Katia ci fece inginocchiare di fronte ai vetri.
"Alla testa?" chiese un uomo, alle mie spalle.
"Alla schiena. Non voglio che la materia cerebrale sporchi i vetri."
Forse è una cosa incredibilmente idiota, ma una delle ultime due cose che mi passarono per la testa non aveva alcun senso.
Mi chiesi per quale accidente di motivo la vetrata fosse ancora in piedi, nonostante la pioggia ne rigasse ogni centimetro.
Poi pensai a Rachel, alla mia piccola Rachel.
Mi ero innamorato di lei a piccoli passi, ed ora compivo l'ultimo da solo, senza nemmeno poterle dire ciò che provavo.
In un'altra vita, forse saremmo stati felici.
Udii uno sparo, poi qualcosa di incandescente attraversò il mio corpo.
Fu l'ultima cosa che sentii.

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora