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C'è qualcosa che ognuno di noi possiede, qualcosa la cui esistenza è difficile da ammettere, ma impossibile da negare: il lato oscuro.
È la parte più istintiva, irrazionale e folle della nostra personalità, quella che ci mette nei guai più spesso di quanto non vorremmo.
Fino a quel giorno, sapevo di conservare dentro di me una sfaccettatura avvolta dalle tenebre, ma non avevo idea di come venisse allo scoperto, né di come operasse.
In un certo senso, ero in debito con quel ragazzo che si era spento fra le mie mani, poiché mi aveva rivelato la vera natura, quella che fino a quel momento si era limitata a sonnecchiare nei più reconditi antri della mia anima.
Tornai dagli altri trascinandomi come uno zombie, con le mani ancora arrossate per lo sforzo e le braccia violacee nei punti in cui l'assassino di mio fratello aveva cercato disperatamente di esercitare pressione.
La prima a correre verso di me fu Rachel. Mi strinse tra le braccia e mi chiese se stavo bene.
Volevo risponderle, ma sentivo il mio corpo e la mia mente così distanti da quella dimensione che per un istante credetti di essere sul punto di svegliarmi e accorgermi che tutto quello era solo un incubo.
Poi sentii Jeffrey gridare.
Tutto ciò che avvenne dopo, nella mia mente risulta offuscato come un deserto immerso in una tempesta di sabbia, ma proverò ugualmente a raccontarvelo.
Mi sciolsi dolcemente dall'abbraccio di Rachel e corsi verso Jeffrey. Trix agitava le mani nella mia direzione.
"È vivo!" urlava, "Ha ancora pulsazione!"
Non capivo. Credo che se uno psicologo mi avesse visitato in quel momento, mi avrebbe diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico, perché le mie sinapsi non connettevano più.
"Chi? Chi è vivo?" chiesi, con l'innocenza di un bambino.
Rachel, che nel frattempo ci aveva raggiunti, mi prese la testa fra le mani e mi trafisse con il suo sguardo.
Le nostre menti, che un tempo erano separate, ormai viaggiavano a braccetto.
"Zeta! Elja, Zeta è vivo!" mi disse.
"...Cosa?" chiesi, incredulo.
"Ti prego, El, torna qui, Zeta ha bisogno di te!" mi sussurrò, con la voce rotta dal pianto. Il mio cervello si riaccese. Non avevo idea di cosa mi fosse capitato, ma ero di nuovo lì.
Abbassai gli occhi su mio fratello e vidi che tremava dal dolore, ma era cosciente.
Il sangue zampillava dalla ferita al fianco, e minacciava di ucciderlo in un paio d'ore. Un'idea lampeggiò nella mia testa.
Corsi fino alle celle frigorifere degli alimenti e afferrai uno dei tanti frammenti di vetro che giacevano a terra.
Incurante delle schegge che mi laceravano la pelle delle mani, ritornai dal ragazzo che avevo appena ucciso.
Era disteso sul pavimento così come l'avevo lasciato. Non mi curai di guardarlo in volto, iniziando ad usare la parte seghettata del vetro per tagliare un lembo dei suoi jeans.
Ripercorsi il tragitto al contrario e tornai dagli altri.
"Stringiamogli questa attorno allo stomaco ed al torace, rallenterà l'emorragia. Nel frattempo, cercheremo qualcosa di più efficace." dissi. Poi presi delicatamente la testa di mio fratello fra le mani. Lui roteò gli occhi verso di me.
Non ero nemmeno sicuro che mi sentisse, ma gli parlai ugualmente, quasi come se quello da rincuorare fossi io.
"Adesso sentirai ancora più dolore, ma ti salveremo, te lo giuro sulla mia vita."
Lui rispose socchiudendo gli occhi, come per dirmi «fai quel che devi fare» ed io feci segno a Trix di cominciare a fasciarlo.
Non gridò nemmeno per un attimo: era svenuto ancor prima che Trix iniziasse la medicazione.

The EndDove le storie prendono vita. Scoprilo ora